Rapporti di lavoro

Arretrati utilizzabili ai fini del comporto

di Alberto Bosco e Josef Tschöll

Il lavoratore che si ammala (sempreché abbia assolto gli obblighi di certificazione e di reperibilità al domicilio) ha diritto a conservare il proprio posto per tutto il periodo stabilito dal contratto collettivo: decorso tale lasso temporale, il datore può procedere al licenziamento semplicemente dando il preavviso, o provvedendo all’erogazione dell’indennità economica sostitutiva.

Oltre al caso in cui il datore spontaneamente rinunci al recesso, per esempio concedendo la fruizione di un’aspettativa (ove tale possibilità non sia già prevista dal contratto collettivo), la legge non prevede altri strumenti per garantire la conservazione del posto di lavoro. La giurisprudenza, tuttavia, ha da tempo elaborato una soluzione alternativa: secondo la Corte di cassazione, infatti, il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto (Cassazione, 14 aprile 2016, n. 7433; 7 giugno 2013, n. 14471; 22 aprile 2008, n. 10352).

La Suprema corte, nell’affermare il principio citato, ha più volte precisato che grava quindi sul datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, dimostrare - ove sia stato investito della richiesta di fruire delle ferie residue per evitare il licenziamento legato al superamento del periodo di comporto previsto dal contratto collettivo - di avere tenuto conto, nell’assumere la propria decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore a evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro. Come si può capire, non è affatto semplice convincere il giudice della correttezza della propria decisione di procedere alla risoluzione del rapporto, avendo negato la fruizione, per esempio, di 15 o 20 giorni di ferie arretrate.

Va in ogni caso ricordato che, nell’ipotesi di recesso in esame, non deve mai essere attivata la speciale procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo davanti alla sede locale territorialmente competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Si sottolinea, poi, che dopo la Francia, anche l’Italia ha introdotto una norma di legge (si tratta dell’articolo 24 del Dlgs 14 settembre 2015, n. 151), che disciplina la cessione dei riposi e delle ferie. Essa dispone che i lavoratori possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che, per le particolari condizioni di salute, necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro.

Per procedere in tal senso è necessario, anzitutto, verificare il testo del Ccnl (contratto collettivo nazionale di lavoro) applicato in azienda: ove tale previsione sia già stata introdotta - come nel caso dell’accordo di rinnovo 20 febbraio 2017 per il Ccnl Giocattoli e modellismo industria, o dell’accordo 22 marzo 2017 per le aziende private della Nettezza urbana – è tutto a posto e si può procedere nella gestione di eventuali richieste in tal senso. In assenza di una clausola a livello nazionale, è invece necessario coinvolgere le rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria (o, eventualmente, le organizzazioni territoriali) per stipulare un accordo di secondo livello, normalmente per singola azienda. È comunque intangibile il periodo minimo di ferie (pari a quattro settimane annue).

Il ricorso a tale istituto va caldeggiato: oltretutto, non solo viene incontro a rilevanti esigenze del personale, e migliora di conseguenza le condizioni di lavoro, ma consente – a costo zero per l’azienda – di smaltire il monte ferie arretrato.

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