Rapporti di lavoro

Ferie da smaltire: termine a fine anno per la prima tranche

di Alberto Bosco e Josef Tschöll

Se è vero che le ferie estive sono ormai un ricordo, e che gran parte dell’anno è alle spalle, resta ancora tempo per garantire la corretta gestione delle ferie dei propri dipendenti. Le norme in materia (articolo 36 della Costituzione, articolo 2109 del Codice civile e, da ultimo, articolo 10 del Dlgs 8 aprile 2003, n. 66) prevedono quanto segue:

il lavoratore ha diritto alle ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi;

la loro durata è normalmente prevista dai contratti collettivi;

in ogni caso, essa non può essere inferiore a quattro settimane, e va goduta per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione;

il periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro;

la fruizione deve avvenire nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore: l’imprenditore deve comunicare per tempo al dipendente il periodo stabilito per l’assenza.

Pertanto, si possono distinguere tre diversi “periodi” di ferie:

un primo periodo, di almeno due settimane, da fruire nell’anno di maturazione, che il lavoratore ha diritto di godere continuativamente, chiedendolo per tempo al datore, in modo che quest’ultimo possa organizzarsi. Il ministero (con la nota 18 ottobre 2006) ha precisato che il contratto collettivo, per eccezionali ragioni, può ridurre tale limite minimo;

un secondo periodo, anch’esso di due settimane che può essere fruito in modo frazionato. Salve particolari previsioni della contrattazione collettiva, questi 14 giorni vanno goduti entro 18 mesi dal termine dell’anno di maturazione;

un terzo periodo, se il contratto collettivo o quello individuale prevedono più di quattro settimane di ferie, che può essere fruito in modo frazionato con possibile monetizzazione.

Per capire quanti giorni di ferie spettano a ogni singolo dipendente, occorre fare riferimento al contratto collettivo applicato in azienda. Normalmente tale diritto matura pro quota, ossia in dodicesimi in relazione ai mesi di servizio prestato: a tal fine, salva previsione contraria del contratto collettivo, l’avere lavorato per una frazione di mese pari o superiore a 15 giorni normalmente comporta la spettanza di un rateo mensile di ferie.

Il diritto in esame – che spetta a tutti i lavoratori, dal dirigente all’apprendista - matura anche ove si verifichino alcune specifiche tipologie di assenze dal lavoro: è il caso, ad esempio, dell’astensione obbligatoria della madre e del congedo di paternità, della malattia, delle ferie stesse e del congedo matrimoniale, al contrario di quanto riguarda, per esempio, lo sciopero.

Il potere decisionale

Il potere di stabilire quando il dipendente può assentarsi spetta al datore di lavoro, il quale, tuttavia, oltre che delle esigenze dell’impresa, deve tenere conto degli interessi del lavoratore, al quale deve comunicare preventivamente, ossia per tempo, il periodo stabilito per il godimento.

È possibile che sia il lavoratore a chiedere di assentarsi in un determinato periodo, essendo però sempre necessario il consenso del datore di lavoro. Tale richiesta va formulata secondo la prassi in uso nell’impresa (per iscritto, via e-mail, a voce) e, ove respinta, l’eventuale assenza sarà considerata come ingiustificata, con conseguente legittimità dell’applicazione delle sanzioni disciplinari, che possono arrivare fino al licenziamento.

È evidente che, in vista della fine dell’anno, è opportuno verificare quanti giorni di ferie restano in capo a ogni singolo dipendente e, ove la norma non sia stata rispettata o nel caso in cui le giacenze siano significative, procedere a un confronto con l’interessato, individuando periodi di reciproco gradimento. Nel caso di mancato accordo, la fruizione delle ferie eccedenti può essere imposta da parte del datore di lavoro.

Il part time

L’articolo 7 del Dlgs 15 giugno 2015, n. 81, dispone che il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto a quello a tempo pieno di pari inquadramento; inoltre, egli ha i medesimi diritti del collega a tempo pieno comparabile e il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. Ne deriva, quindi, che egli ha diritto al medesimo numero di giorni di ferie dei colleghi a tempo pieno, fatto il necessario riproporzionamento della retribuzione feriale, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. Non solo: nel caso di part time verticale, il numero di giorni di ferie va riproporzionato in relazione all’orario di lavoro effettivamente prestato (ministero del Lavoro, circolare 18 aprile 2000, n. 24).

Per esempio, se il personale a tempo pieno su cinque giorni lavorativi gode di 35 giorni di ferie, il calcolo delle ferie per i part time di tipo verticale va fatto con la seguente formula: “35 : 5 = x : gg”. Laddove x è uguale al numero dei giorni di ferie spettanti e gg. rappresenta il numero delle giornate di lavoro del dipendente part time nella settimana. Quindi, il lavoratore a tempo parziale verticale ha diritto a sette giorni di ferie l’anno se lavora un giorno alla settimana, 14 giorni se la prestazione è resa su due giorni settimanali, e così via.

Le sanzioni

Va infine tenuto presente che, salvo il caso in cui le ferie, anche se programmate, non sono state godute per eventi che prescindono dalla volontà delle parti (per esempio a causa di malattia, infortuni o maternità), con conseguente possibilità di recuperarle appena possibile in base a una accordo tra le parti, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, che, in relazione alle diverse ipotesi, varia da 100 a 4.500 euro.

Leggi i casi pratici

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©