Rapporti di lavoro

Trattamento di fine mandato, anche la rinuncia al credito fa scattare la tassazione in capo all’amministratore

di Matteo Ferraris

Nel caso di rinuncia operata da amministratori che rivestono altresì la qualità di soci, la società non deve tassare la sopravvenienza attiva ai sensi dell’articolo 88, comma 4-bis, del Tuir. La risoluzione 124 del 13 ottobre precisa che, in capo agli amministratori soci, i crediti rinunciati dovranno essere tassati in virtù del cosiddetto incasso giuridico.
In caso di rinuncia al Trattamento di fine mandato (Tfm) da parte di amministratori non soci, invece, mancando la qualifica di socio, si applica l'articolo 88, comma 1, del Tuir con la conseguenza che la società dovrà tassare una sopravvenienza attiva nei limiti delle quote di Tfm accantonate e dedotte.

Questi, in sintesi, i chiarimenti forniti dalla risoluzione n. 124/E/2017 che ha affrontato tre questioni: 1) come rilevare la rinuncia al credito per Tfm da parte degli amministratori soci, applicando l'articolo 88, comma 4-bis, del Tuir e, in particolare, se sia corretto iscrivere una sopravvenienza attiva per la parte eccedente il valore fiscale del loro credito; 2) come rilevare la rinuncia al credito per Tfm da parte degli amministratori non-soci; 3) se l'iscrizione come sopravvenienza attiva tassata delle quote di Tfm oggetto di rinuncia, liberi la società e gli amministratori, in qualità di persone fisiche, da ulteriori obblighi fiscali.

L'estesa risposta formulata dall'agenzia delle Entrate costituisce una prima ufficializzazione dell'interpretazione relativa all'evoluzione normativa recente attuata dall'articolo 13 del Dlgs n. 147/2015, che ha inserito il comma 4-bis nel corpo dell'articolo 88 del Tuir. La misura, applicabile a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello di entrata in vigore (7 ottobre 2015), stabilisce che «La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero. (…)».

La questione affronta un tema generale che consente di qualificare fiscalmente come “apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito. A tal fine, il socio deve fornire alla partecipata una comunicazione - mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio o atto estero di natura equivalente - relativa al valore fiscale del credito; in assenza di tale comunicazione, il medesimo valore fiscale è assunto pari a zero, con la conseguenza che il debitore assoggetta a tassazione tutta la sopravvenienza attiva. In altri termini, nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto (non tassabile). L'eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile, a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.

In questo contesto si inserisce la gestione dei crediti vantati dai soci in relazione a fenomeni ricorrenti nella gestione dell'impresa. In particolare, il trattamento di fine mandato (Tfm) è un'indennità, non disciplinata in modo specifico dalla normativa civilistica, che la società può corrispondere agli amministratori alla scadenza del loro mandato. L'ammontare è determinato dall'assemblea dei soci, secondo criteri di ragionevolezza e congruità rispetto alla realtà economica dell'impresa.

La tassazione in capo al percipiente è separata se l'obbligazione deriva da atto di data certa contestuale o precedente alla designazione quale amministratore. Tale atto dispositivo può essere emanato anche successivamente alla designazione.
La delibera assembleare costituisce l'insorgere di un credito per l'amministratore, condizionato di norma alla risoluzione del rapporto di amministrazione.
Per l'impresa gli accantonamenti al fondo per il Tfm sono fiscalmente deducibili in base al principio di competenza, prescindendo dal momento in cui l'indennità sia effettivamente pagata.

Nel caso oggetto del quesito, gli amministratori hanno unanimemente rinunciato al Tfm accantonato dalla società negli esercizi precedenti, motivo per cui vengono chiesti chiarimenti circa gli effetti fiscali derivanti da tale fattispecie in capo alla società – che aveva dedotto il valore corrispondente agli accantonamenti - e in capo agli amministratori.
Gli amministratori possono o meno essere soci della società.

La rinuncia ai crediti comporta un incremento di patrimonio della società. Per il socio l'onere conseguente alla rinuncia incrementa naturalmente il costo della partecipazione. Un'eccezione a ciò è rappresentata dalla rinuncia con animus donandi o dalla remissione del debito da parte di un soggetto terzo; in tale fattispecie, l'intera sopravvenienza attiva dovrà essere tassata in capo alla società partecipata (ex articolo 88, comma 1, del Tuir).
L'apporto di nuove risorse al patrimonio della partecipata per il tramite di crediti per il Tfm dovuto a persone fisiche non esercenti un'attività di impresa non genera differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale; per tale ragione, la società partecipata non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva (ex articolo 88, comma 4-bis, del Tuir) e non è necessaria la comunicazione alla società partecipata del valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia.

In caso, invece, di rinuncia da parte di amministratori “non soci”, si genera una sopravvenienza attiva ex articolo 88 del Tuir per la società se la società istante ha dedotto le quote di Tfm accantonate.

Per quanto concerne la rilevanza reddituale in capo agli amministratori (soci e non soci) della rinuncia al Tfm, l'agenzia delle Entrate ha chiarito che:
- la tassazione del Tfm - sia come reddito assimilato al lavoro dipendente, sia come reddito professionale - segue il criterio di cassa, con imposizione al momento della percezione;
- la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci) presuppone l'avvenuto incasso giuridico del credito e, quindi, l'obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta (la tesi dell'incasso giuridico è stata recepita dalla Corte di cassazione, sen. n. 26842 del 18 dicembre 2014 e ord. n. 1335 del 26 gennaio 2016).
Dal potere di disporre deriva, pertanto, l'incasso del credito e, conseguentemente, l'applicazione della relativa ritenuta.

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