Rapporti di lavoro

Reddito ripartito tra conviventi

di Luca De Stefani

Il reddito spettante al “convivente di fatto”, che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, deve essere imputato al primo in proporzione alla sua quota di partecipazione, come accade nelle imprese familiari (comprese quelle costituite nell’ambito delle unioni civili). Sono questi i chiarimenti contenuti nella risoluzione dell’agenzia delle Entrate 134/E, che però non coincidono con quanto detto dall’Inps, nella circolare 66/2017, circa la non iscrivibilità alla gestione artigiani o commercianti dei collaboratori conviventi.

La posizione delle Entrate, quindi, consentirà di ripartire il reddito dell’impresa individuale del titolare tra i conviventi, beneficiando così delle più basse aliquote Irpef che possono essere applicate singolarmente. Inoltre, a differenza di quanto accade nell’impresa familiare, l’intero reddito della ditta dovrà essere assoggettato all’eventuale Inps artigiani o commercianti in capo solo al titolare dell’impresa (quindi, senza alcuna divisione tra i due conviventi).

La legge 20 maggio 2016 n. 76 (cosiddetta Legge Cirinnà) ha esteso solo alle unioni civili (stesso sesso), e non alle convivenze di fatto (sessi diversi), la disciplina civilistica sull’impresa familiare (articolo 230-bis del Codice civile), con la conseguenza che fiscalmente il reddito va imputato al familiare, parte civile, in proporzione alla sua partecipazione agli utili. Se l’impresa familiare è artigiana o commerciale, poi, il titolare deve versare i relativi contributi Inps, anche per il familiare.

I componenti della convivenza di fatto, invece, non possono formare, tra loro, un’impresa familiare, ma la Legge Cirinnà ha introdotto l’articolo 230-ter del Codice civile, secondo il quale al convivente di fatto, che presta «stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare», commisurata al lavoro prestato.

Secondo l’agenzia delle Entrate, anche se l’articolo 5, comma 4, del Tuir, richiama solo l’articolo 230-bis sulle imprese familiari e non anche l’articolo 230-ter sul «convivente di fatto», il riferimento di quest’ultimo articolo alla «partecipazione agli utili dell’impresa familiare» spettanti al convivente, consente di applicare anche a questa fattispecie il «principio di trasparenza» dell’articolo 5 del Tuir.

Secondo l’Inps, invece, l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto, da parte del titolare, in base al nuovo articolo 230-ter, non ha «alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome» artigiani o commercianti, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.

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