L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Licenziamento per mancate dimissioni

di Paolo Rossi

La domanda

Sta accadendo spesso che un dipendente che manifesta la volontà di dimettersi invece di attivare la procedura telematica di dimissioni, si assenta ingiustificatamente al fine di costringere il datore di lavoro ad avviare il relativo procedimento disciplinare ed al conseguente licenziamento, dato che il lavoratore alle contestazioni non risponde e continua ad assentarsi. Ciò consente al dipendente dimissionario di godere illegittimamente della Naspi (fino a due anni), beneficio notevolmente superiore all'eventuale trattenuta per mancato preavviso, mentre il datore di lavoro è tenuto a pagare il ticket di licenziamento. Si chiede: per evitare tali abusi non è possibile notificare al lavoratore la presa d'atto di dimissioni?

Il Ministero del lavoro, all’interno di un gruppo di FAQ pubblicate sul proprio sito web, alla domanda “Se il lavoratore rassegna le proprie dimissioni e, nonostante i solleciti, non compila la prevista procedura online, il datore di lavoro come si deve comportare?” ha risposto come segue: “Le dimissioni vanno rassegnate esclusivamente con il modello introdotto dal DM 15 dicembre 2015. Diversamente il datore di lavoro dovrà rescindere il rapporto di lavoro.” La posizione del Ministero del lavoro, benché apparentemente conforme al dettato legislativo, non è unanimemente condivisa, soprattutto tra la dottrina (ancora mancano, infatti, pronunce giurisprudenziali in tal senso). Quindi, qualunque interpretazione, deve muoversi partendo dalla attenta lettura dei testi legislativi. L’art. 26 del Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, ha previsto che “Al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro […]. Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che alteri i moduli di cui al comma 1 è punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000.” Tale modalità non è richiesta per il lavoro domestico e nel caso in cui le dimissioni o la risoluzione consensuale intervengono nelle sedi in cui è possibile conciliare le vertenze del lavoro o avanti alle commissioni di certificazione. Resta escluso anche il pubblico impiego. Dunque, la norma pare che non consenta altre modalità di rassegnare le dimissioni. Sembra imperativo, infatti, il passaggio in cui il legislatore sottolinea che le dimissioni siano fatte “esclusivamente con modalità telematiche”, pena l’inefficacia delle stesse. Per inefficacia si intende che la manifestazione di volontà del lavoratore non è idonea a produrre effetti giuridici sul contratto ossia ad interrompere il rapporto di lavoro. Al riguardo, però, deve necessariamente tenersi conto che la Legge 10 dicembre 2014, n. 183, recante “Deleghe al Governo […] in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”, nel fissare i criteri per l'esercizio della delega governativa, ha espressamente richiesto che la nuova tutela delle dimissioni “garantite” e “autentiche” dovesse “assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore” (art. 1, comma 6, lett. g). Il Decreto Legislativo 151/2015, in applicazione della delega contenuta nella citata Legge 183/2014, ha regolamentato l’istituto delle dimissioni telematiche, ma in forma solo parziale in quanto ha mancato di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente del lavoratore (dimissioni volontarie per fatti concludenti, ossia quando il lavoratore non si presenta più al lavoro e non fornisce alcuna spiegazione). Evitando in questa sede qualunque riflessione di tipo costituzionale rispetto all’eccesso o al difetto di delega, un’ipotesi plausibile è quella di ricondurre il caso delle dimissioni implicite per comportamento concludente alla previsione dell’art. 1, comma 6, lett. g), della Legge delega 183/2014, superando la lacuna del Decreto Legislativo 151/2015. Se tale tesi non convince il lettore, è sempre possibile mantenere il rapporto di lavoro sospeso a zero ore, congelando peraltro anche la liquidazione del TFR, tenuto conto che il rapporto di lavoro non è giunto a conclusione per colpa del lavoratore inerte rispetto alla procedura delle dimissioni on line.

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