Rapporti di lavoro

Protezioni in linea con la modernità

di Riccardo Del Punta

Pur prendendo implicitamente spunto dalla sentenza torinese sui fattorini di Foodora, il tema posto da Alberto Orioli investe, al fondo, il senso stesso del diritto del lavoro nel tumultuoso contesto della Quarta Rivoluzione Industriale.

Di trasformazione del diritto del lavoro nei Paesi a economia avanzata si dibatte incessantemente, in verità, almeno a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, anche se con tagli diversi in Europa e nel mondo anglo-americano. E non se ne parla soltanto in teoria, visto che da allora importanti processi di riforma sono stati avviati, in specie nei Paesi continentali, che avevano un diritto del lavoro molto strutturato, ma oramai eccessivamente rigido al cospetto della globalizzazione. Queste riforme (in Italia, nel 2003, 2012 e 2015) hanno mutato in modo dirompente la fisionomia del diritto del lavoro tardonovecentesco.

La sollecitazione di Orioli induce però a chiedersi se non sia giunto il tempo di provare a completare l’opera, sì da configurare in positivo (anche tramite le opportune integrazioni legislative) un nuovo assetto di crociera della disciplina, che le consenta di misurarsi, sebbene un po’ arrancando come sempre accade nel rapporto tra il diritto e i processi reali, con le sfide del XXI secolo.

Con una semplificazione, lo si può vedere come il terzo (ma non ultimo) stadio di un movimento dialettico: nella prima fase il diritto del lavoro è stato soprattutto una forza di contrasto all’impresa; nella seconda le ragioni dell’impresa hanno ripreso (complice la globalizzazione) il sopravvento, neutralizzando almeno in parte i residui riflessi antagonistici e imponendo forti correzioni di rotta; nella terza, si tratta di immaginare, con mente aperta e scevra da ripiegamenti sul passato, una sintesi capace di rapportare il principio di protezione del lavoratore come persona, che è l’anima perenne del diritto del lavoro, all’odierna realtà economica e tecnologica.

Una protezione da applicare a tutto il lavoro, e non soltanto a quello subordinato in senso tradizionale. Sull’inquadramento contrattuale dei lavoratori su piattaforma, ci consola il fatto che altri sistemi annaspano non meno del nostro. In ogni caso, malgrado i criteri identificativi della subordinazione siano per loro natura elastici e adattabili, quasi dovunque i tentativi di accedere alle relative tutele non hanno avuto successo, per via delle caratteristiche di questi lavori, prima fra tutte la non obbligatorietà, per i gig worker (come per i pre-tecnologici pony-express), dell’accettazione dei singoli incarichi.

Dopo di che, invece di immaginare l’assorbimento nella subordinazione di tutte le situazioni di dipendenza meramente economica, che non sarebbe facile da gestire, sarebbe più opportuno, come suggerito su queste colonne da Tiziano Treu, partire dalle tutele di cui questi lavoratori possono avere concreto bisogno, che non sono per forza tutte quelle classiche (in specie quando il lavoretto è un secondo lavoro), e apprestare un’apposita disciplina. Non troppo diversa, del resto, al di là della formale creazione di una categoria intermedia tra autonomia e subordinazione, è la soluzione britannica del worker (in quanto differenziato dall’employee), i cui diritti includono il salario minimo legale, i limiti di orario massimo, le ferie pagate, e la tutela anti-discriminatoria (cui si potrebbe aggiungere una tutela in caso di malattia, per quanto non semplice da congegnare).

Ma, come sottinteso da Orioli, l’impatto dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro è di più ampio respiro. Le trasformazioni dei modelli organizzativi, trainate dalla tecnologia, tendono a modificare in profondità la stessa subordinazione, immettendovi dosi di autonomia, ponendo così le premesse per una crescente valorizzazione del lavoro. Il nuovo regime delle mansioni ha posto le basi di una revisione dei sistemi di classificazione professionale. Si fa strada l’idea che la formazione faccia parte dei termini contrattuali. Modalità come il lavoro agile dischiudono nuove prospettive di conciliazione tra esigenze produttive e istanze individuali. Si rafforza, grazie agli incentivi, il legame tra retribuzione e produttività, che sospinge anche il Welfare aziendale. È in pieno corso la partita della privacy e dei controlli.

Sono soltanto alcuni dei tasselli di un nuovo diritto del lavoro che sta nascendo, peraltro nella contrattazione collettiva, in specie decentrata, prima che nella legge. Una ragione in più, tra l’altro, per darle una disciplina degna di questo nome, portando a compimento, se del caso con il supporto legislativo, i passi fatti dalle parti sociali.

La flessibilità è stata ed è necessaria alle imprese, e quindi al Paese. Essa va però considerata una delle clausole di un rinnovato patto sociale, alcuni mattoni del quale sono stati già posti, votato a prendere sul serio l’istanza di valorizzazione del lavoro, sia in quanto importante in sé, che in quanto leva dell’efficienza e della competitività del sistema.

La sfida posta dalla tecnologia è dunque, in ultima analisi, quella di rilanciare l’investimento sulle competenze e le capacità dei lavoratori, nell’impresa così come nel mercato (tramite le politiche di occupabilità e di attivazione): il diritto del lavoro deve assecondare questo rilancio, senza per questo allentare la guardia sulle situazioni, purtroppo non rare, nelle quali il lavoro è tuttora mortificato.

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