Contenzioso

«Sì» al licenziamento del dipendente delle Entrate per consulenze fiscali anche gratuite

di Paola Rossi

Legittimo il licenziamento disciplinare del dirigente dell’Agenzia delle entrate che svolga in forma privata attività di consulenza in materia fiscale e tributaria. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 11160/2018 depositata ieri ha respinto il ricorso del dipendente giudicato infedele dal datore di lavoro pubblico, precisando che non rileva la gratuità o meno delle prestazioni rese a favore di soggetti estranei all’amministrazione, se non addirittura controparti della stessa. Indizio dell’infedeltà sta inoltre, nell’attinenza di tali attività con quelle dell’amministrazione di appartenenza.

Nessuna illegittimità intravede la Cassazione nell’applicazione della sanzione espulsiva da parte dell’Agenzia fiscale, in quanto non rileva - neanche rispetto alla gravità accertata dei comportamenti del dipendente - la gratuità delle attività di consulenza fornite a terzi estranei all’amministrazione fiscale. Chiarisce anche la Cassazione che il rapporto di lavoro in questione deve ritenersi disciplinato dal Ccnl-Comparto Agenzie Fiscali relativo al personale non dirigente in quanto il ricorrente, pur essendo assegnatario di un incarico dirigenziale, non rivestiva la qualifica di dirigente. Ma soprattutto non rileva la soglia dei 150 euro a fronte della prestazione esterna alla Pa per l’applicazione del licenziamento disiciplinare, come previsto dal Codice di comportamento dei dipendneti pubblici.

Il ricorrente sosteneva che neanche in caso di superamento della soglia dei 150 euro per prestazioni esterne alla Pa il dipendente pubblico va sanzionato con la misura espulsiva, ma va valutato il contesto e l’elemento psicologico che sta dietro alla condotta sanzionata. Cioè la gravità. E, nel caso specifico, la gravità come fa rilevare la Cassazione è sicuramente attribuibile al dipendente licenziato dalle Entrate. Infatti, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente al caso specifico va sicuramente applicato non solo il più generico Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (Dpr 62/2013), ma in primis il regolamento che governa l’attività e l’«autonomia tecnica» del personale delle Agenzie fiscali - il Dpr 18/2002 - che non pone alcuna distinzione tra incarichi retribuiti e non. E vieta - espressamente -lo svolgimento di attività o prestazioni incidenti sull'adempimento corretto e imparziale dei doveri d'ufficio, come la prestazione a favore di terzi di consulenze, assistenza e rappresentanza in questioni di carattere fiscale, tributario o attività comunque connesse ai propri compiti istituzionali. Più specificatamente - rileva in questa vicenda - il divieto di svolgere le «attività fiscali o tributarie proprie o tipiche degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro». Regole più stringenti del generale Codice di comportamento, ma legittime rispetto all’autonomia delle Agenzie fiscali e alla protezione dei propri compiti istituzionali. Conclude la norma che prevede il divieto comprendendovi genericamente qualsiasi attività che «appaia» incompatibile con la corretta e imparziale esecuzione dell'attività affidata all'Agenzia fiscale.
Da tutto ciò l’ infondatezza della tesi del ricorrente che, al fine di contestare l' irrilevanza - a fini disciplinari - del carattere gratuito delle attività di consulenza svolte in favore di terzi, attribuisce al Dpr 62/2013 forza di «supremazia gerarchica» rispetto al Dpr 18/2002.

Corte di Cassazione - Sentenza n. 11160/2018

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