Rapporti di lavoro

Possibile una policy anche per le «piccole»

di Giampiero Falasca

Le regole della legge sul whistleblowing valgono per il settore pubblico e, nel campo privato, esclusivamente per le imprese che adottano il modello organizzativo previsto dal Dlgs 231/2001. Le imprese fuori dal campo di applicazione della riforma possono dunque disinteressarsi del tema? Non proprio, per svariate ragioni.

La prima è strettamente tecnica: anche un’impresa che non rientra nell’ambito di applicazione della nuova normativa, può trovarsi di fatto coinvolta. È la situazione che può verificarsi per le imprese private che forniscano alla Pubblica amministrazione beni, opere e servizi: nel momento in cui inizia l’erogazione del servizio, questi soggetti privati entrano nel raggio di azione della nuova disciplina.

La seconda ragione è legata a motivi di opportunità: le imprese che restano fuori dal campo di applicazione della riforma non hanno alcun obbligo di introdurre le procedure previste, ma sono soggette come tutte le altre al rischio di dover gestire una segnalazione riservata di un proprio dipendente su eventuali condotte illecite. Se un’azienda non vuole farsi trovare impreparata di fronte a questa ipotesi, può attrezzarsi con diversi strumenti.

La legge 179/2017 ruota intorno all’introduzione nel modello 231 di opportuni canali di segnalazione degli illeciti per il soggetto segnalante. Anche se il modello 231 non esiste, la singola impresa può comunque adottare, con un proprio regolamento, un sistema di segnalazione degli illeciti che regolamenti i meccanismi di presentazione della denuncia e garantisca forme di riservatezza per il segnalante. Cambia lo strumento – invece che tramite l’aggiornamento del modello 231, il sistema di segnalazione entra in azienda con una policy unilaterale – ma il risultato finale è simile.

Peraltro, anche se l’impresa non adotta misure specifiche a tutela del segnalante, non si deve pensare che il lavoratore sia totalmente sprovvisto di tutela. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte affrontato il caso di lavoratori oggetto di misure ritorsive per aver segnalato irregolarità scoperte sul posto di lavoro. Numerose sentenze dalla Cassazione hanno giudicato illecito il licenziamento del lavoratore segnalante, se adottato come ritorsione verso una segnalazione sgradita, salvo che non risultasse il carattere calunnioso della denuncia (tra le tante, si vedano Cassazione 22375/2017 e 4125/2017). Secondo questo orientamento, solo con una condotta dolosa del segnalante il licenziamento irrogato può ritenersi legittimo. In tutti gli altri casi, il segnalante deve essere tutelato contro ogni misura ritorsiva adottata dal datore di lavoro. Questi principi potrebbero essere trasferiti anche all’interno della policy aziendale.

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