Rapporti di lavoro

Niente Irap per i professionisti-collaboratori

di Gianfranco Ferranti

Non è dovuta l’Irap sui compensi per lezioni, redazione di articoli e libri e consulenze tecniche, d’ufficio e di parte, se il professionista è in grado di scorporarli da quelli relativi all’attività di lavoro autonomo esercitata avvalendosi di un’autonoma organizzazione. La Cassazione (ordinanza 12052/2018) ha così esteso l’analogo e affermato principio concernente i compensi derivanti dallo svolgimento delle funzioni di amministratore, sindaco e revisore di società. Un chiarimento da tenere presente quando si procede al calcolo dell’Irap da versare, a saldo e in acconto.

La responsabilità

La Cassazione ha costantemente affermato che è indispensabile, perché si configuri il presupposto impositivo dell’Irap, il requisito della responsabilità, sotto qualsiasi forma, dell’organizzazione da parte del contribuente. Pertanto, «ben può accadere che l’Irap risulti inapplicabile a soggetti che realizzino guadagni cospicui, quando tali guadagni siano frutto di capacità professionali o artistiche, senza il concorso di una autonoma organizzazione di supporto avente consistenza oggettiva» (ordinanza 9692/2012).

Sono stati, di conseguenza, ritenuti esclusi dall’Irap i professionisti in qualità di collaboratori “esterni” presso strutture organizzate e gestite da altri professionisti o da imprese, come nei casi dell’avvocato che ha espletato la propria attività «in regime di mono-committenza, senza forme di partecipazione alle relative spese e senza propri dipendenti o collaboratori», a favore di uno studio associato «suo singolo cliente» (ordinanza 890/2017) o che svolge l’attività fruendo di una stanza e di un computer concessi in comodato dal padre nell’ambito del proprio studio professionale (sentenza 18973/2009) nonché del tirocinante che utilizza la struttura organizzata del dominus (sentenza 6673/2017) e del medico che effettua gli interventi chirurgici avvalendosi dell’organizzazione posta a disposizione da una clinica (ordinanze 10916 e 11001/2018, 23170/2016 e 9692/2012).

Con riguardo alle attività artistiche, la Suprema corte ha affermato che non è soggetto all’Irap l’attore che opera in un teatro senza disporre di una propria organizzazione e che il tributo è, invece, dovuto qualora l’attore organizzi una equipe di operatori addetti alla sua persona (sentenze: 4379/2010; 7721 e 26144/2008). Tale principio è stato applicato, nella ordinanza 29863/2017, al caso di un artista che si era avvalso di una truccatrice occasionale e di due autori di testi e aveva corrisposto compensi ad avvocati, un notaio, un consulente del lavoro e uno studio di consulenza legale e tributaria. La Corte ha escluso l’assoggettamento a Irap perché ha ritenuto la struttura organizzativa di supporto all’attività artistica riferibile «ad altrui responsabilità ed interesse». Nell’ordinanza 1690/2018 la Corte è pervenuta alla medesima conclusione nel caso di una conduttrice che si era avvalsa delle strutture messe a disposizione da una emittente televisiva.

Gli amministratori e i sindaci

La Suprema corte ha costantemente sostenuto che se l’attività di sindaco, amministratore o revisore è svolta senza utilizzare un’autonoma struttura organizzativa, ma avvalendosi di quella della società va assoggettato all’Irap soltanto il valore della produzione derivante dall’attività professionale autonomamente organizzata.

In tali casi, i contribuenti devono essere in grado di distinguere con certezza i compensi derivanti da ciascuna delle due attività. La Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che l’esclusione dal tributo spetta a condizione che sia possibile separare i relativi compensi da quelli totali (ordinanze 3790, 14790 e 28988/2018).

Tale principio è stato, peraltro, sancito anche in presenza di contribuenti che svolgono la propria attività nell’ambito di associazioni professionali (ordinanze 19327, 19328 e 20975 del 2016), la cui attività è stata ritenuta dalle Sezioni Unite (sentenze 7292/2016 e 7371/2016) costituire in ogni caso presupposto dell’imposta, trattandosi di soggetti «strutturalmente organizzati». Nella ordinanza 30395/2017 è stata, inoltre, ritenuta irrilevante la circostanza che la sede legale della società sia collocata presso lo studio del professionista.

L’agenzia delle Entrate è, invece, ancora ferma sulla posizione espressa nella risoluzione 78/E del 2009, in cui era stato affermato che i compensi in esame sono in ogni caso imponibili se percepiti da un commercialista che esercita la professione avvalendosi di un’autonoma organizzazione, perché gli stessi concorrono a formare il suo reddito di lavoro autonomo. L’orientamento giurisprudenziale appare più corretto, perché il principio di attrazione nella sfera del lavoro autonomo dei rapporti di collaborazione connessi all’attività professionale è stabilito ai soli fini Irpef, che ha un presupposto impositivo differente.

Le altre attività «scindibili»

L’Istituto di ricerca del Cndcec aveva già evidenziato, nella circolare n. 2/IR del 2008, che, applicando il principio sancito dalla Cassazione, i contribuenti sarebbero stati legittimati a “scorporare” dalla base imponibile dell’Irapi compensi che non necessitano per la loro produzione dell’intervento dell’autonoma organizzazione, ma che derivano dalle sole capacità professionali del contribuente, quali quelli percepiti per la partecipazione a convegni, per la redazione di articoli e pareri, per l’incarico di arbitro ecc.

In senso analogo si è espressa la Cassazione (sentenza 12052/2018), riguardante il caso di un dottore commercialista che aveva chiesto di «scorporare i proventi per attività di sindaco e revisore di società, lezioni e diritti di autore, consulenze tecniche d’ufficio e di parte». La Corte ha censurato la sentenza di merito perché «riferendo il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione anche a tali redditi senza alcun vaglio specifico» ha violato il principio in base al quale «soggetta a imposizione è unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata», fermo restando «l’onere del contribuente di provare la separatezza dei redditi di cui predica lo scorporo».

Tali conclusioni sono senz’altro condivisibili, rappresentando l’inevitabile conseguenza del principio sancito con riguardo alle attività di amministratore, sindaco e revisore. Appare auspicabile che l’agenzia delle Entrate tenga conto dell’orientamento di legittimità, che risulta ormai pienamente consolidato.

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