Rapporti di lavoro

Gig economy fuori dal Decreto Dignità

di Alberto De Luca

Sorprendentemente nella versione definitiva del Decreto dignità è svanito, rispetto a precedenti versioni trapelate, ogni riferimento all'acceso e vivo dibattito sulla regolamentazione del lavoro per gli operatori della gig economy. Assenza vistosa, questa, se si considera il livello di allarmismo sociale che ha animato il dibattito sin dalla (ormai non più) recente campagna elettorale, dibattito che era perfino culminato nella minaccia, da parte di multinazionali del settore, di abbandonare il mercato italiano ritenuto evidentemente sacrificabile.
Eppure di una regolamentazione del tema si avverte davvero il bisogno. Una regolamentazione ragionata, calata nella realtà e non disegnata sui proclami politici; che non faccia di tutta l'erba un fascio, dal momento che la gig economy non è fatta solo di riders, ma anche (e forse soprattutto) di numerose altre tipologie di prestatori che ancor meno hanno a che vedere con i lavoratori subordinati, nello sconfinato mondo del crowdsourcing.
Esigenza ben più attuale e sentita (da imprese e lavoratori) della non richiesta riforma del contratto a termine, istituto che faticosamente aveva raggiunto un dignitosissimo livello di equilibrio tra flessibilità e tutele.
Ed è così che, invece di concentrarsi sul futuro su un tema d'attualità come quello delle migliaia di persone che fanno della prestazione occasionale la loro professione, il Decreto Dignità si è dedicato al ritorno al passato, ferendo a morte (con tanto di allungamento dei termini per l'impugnazione) le proficue riforme sui contratti a termine conquistate riforma dopo riforma negli ultimi 6 anni.
Nel silenzio del legislatore e dell'esecutivo, così, la disciplina dei gig workers continua a essere affidata all'interpretazione dei giudici (di ieri è la prima sentenza del Tribunale di Milano che ha respinto l'azione di un rider che voleva essere equiparato a un lavoratore subordinato) e alla lungimiranza dei committenti che, in assenza di una disciplina dedicata a cui attenersi, hanno cominciato spontaneamente a riconoscere tutele aggiuntive anche attraverso coperture assicurative non obbligatorie.

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