Rapporti di lavoro

Niente contribuzione piena su premi convertiti in pensione

di Francesco delli Falconi

Con la circolare 22 del 10 ottobre 2018, l’Assonime commenta alcuni dei chiarimenti resi dall’agenzia delle Entrate con la circolare 5/E del 29 marzo 2018. Fra le problematiche affrontate merita un approfondimento il tema dell’assoggettamento a contribuzione delle quote di premi di risultato destinate ad alimentare forme di previdenza complementare o di assistenza sanitaria integrativa del lavoratore.

L’articolo 1, comma 184-bis, della legge 208/2015 stabilisce che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, né sono soggetti all’imposta sostitutiva del 10%, se versati per scelta del lavoratore in sostituzione di un premio di risultato, i contributi alle forme pensionistiche complementari di cui al Dlgs 252/2005, ovvero i contributi di assistenza sanitaria a enti o casse aventi finalità assistenziale in conformità a contratti, accordi o regolamenti aziendali.

Posta la chiarezza del dettato normativo in ambito fiscale, ci si è interrogati sul regime contributivo da applicare a questi versamenti e la stessa Assonime, auspicando un ulteriore intervento di prassi amministrativa, fornisce due differenti chiavi di lettura.

Preliminarmente, occorre ricordare come la disciplina contributiva dei versamenti effettuati a forme di previdenza o assistenza integrativa sia contenuta nel combinato disposto dell’articolo 12, comma 1, della legge 153/ 1969, in base al quale, ai fini contributivi, la base imponibile deve essere individuata secondo le regole “fiscali” sancite dall’articolo 51 del Tuir, e dal comma 4, lettera f, della medesima norma, secondo cui i contributi e le somme a carico del datore di lavoro (diverse dalle quote di Tfr) finalizzate a prestazioni integrative previdenziali o assistenziali sono assoggettate a un contributo di solidarietà del 10%, mentre qualsiasi versamento a carico del lavoratore soggiace al regime di contribuzione ordinaria.

La prima ipotesi, formulata dall’Associazione, assimila la conversione del premio di risultato a un versamento a carico del lavoratore, in quanto si tratterebbe di una somma preliminarmente entrata nella disponibilità del dipendente e da questi volontariamente destinata alla previdenza o all’assistenza. Da tale assunto discenderebbe l’assoggettamento a contribuzione ordinaria (sia a carico del lavoratore che del datore di lavoro).

Di contro, viene altresì evidenziato come gli importi in realtà originino da un obbligo assunto dal datore di lavoro nei confronti delle rappresentanze sindacali a fronte di un miglioramento della situazione economico-organizzativa dell’azienda e, per tale motivo, dovrebbero essere considerati quali versamenti a carico del datore di lavoro, da assoggettare al solo contributo di solidarietà.

Queste osservazioni devono, però, essere ulteriormente approfondite. In particolare, si è dell’avviso che le quote di premio che il dipendente decide di destinare a previdenza e assistenza integrativa debbano essere inquadrate nell’ambito di versamenti effettuati a carico del lavoratore, ma da ciò non discenderebbe alcun assoggettamento alla contribuzione ordinaria.

È, infatti, l’articolo 12, comma 1, della legge 153/1969 a sancire il principio secondo cui la base imponibile contributiva deve essere determinata secondo le disposizioni fiscali. Posta, dunque, l’espressa esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente stabilita dall’articolo 1, comma 184-bis, della legge 208/2015, le quote di premio convertite non dovrebbero scontare alcuna forma di contribuzione.

Ma anche nell’eventualità in cui si volesse sostenere che la previsione di cui all’articolo 12, comma 4, lettera f, della legge 153/1969 sia del tutto svincolata dal principio generale di cui al comma 1, bisogna comunque ricordare come lo stesso Inps (circolare 167/2004) abbia in passato escluso l’applicazione del regime ordinario ai premi di produttività versati a previdenza complementare. La normativa di riferimento della circolare 167 è stata modificata, ma, vista la similitudine fra i premi di risultato di allora e quelli di oggi, risulterebbe difficile immaginare, mutatis mutandis, un differente approccio da parte dell’Istituto, con la logica conseguenza che le quote destinate a previdenza e assistenza integrativa, laddove non si volesse escluderne tout court la concorrenza a contribuzione, dovrebbero, quanto meno, restare assoggettate al solo contributo del 10 per cento.

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