Rapporti di lavoro

Whistleblowing alla prova dei giudici del lavoro

di Matteo Prioschi

Sarà il processo del lavoro un banco di prova valido per verificare l'adeguatezza della normativa sul whistleblowing. «Per paradosso la tutela vera del whistleblower passa attraverso le decisioni del giudice del lavoro, perché sono convinto che quando i primi casi saranno portati davanti al giudice capiremo se questa norma consentirà una adeguata tutela a chi svolge un ruolo “altruistico” nei confronti dell'amministrazione o dell'organizzazione». Questo “l'assist” fatto ai giuslavoristi da Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), in occasione della giornata conclusiva del convegno nazionale Agi che si è svolto il 25, 26 e 27 ottobre a Bologna.

La legge 179/2017 ha introdotto nuove regole e tutele per i dipendenti che segnalano comportamenti illeciti tenuti da colleghi all'interno dell'amministrazione pubblica o dell'azienda. E tali disposizioni prevedono che chi segnala non possa subire ritorsioni sul posto di lavoro, con dequalificazioni, per esempio. Ma una cosa è la teoria e un'altra la realtà. In passato, ha osservato Cantone, i giudici del lavoro non sempre hanno tenuto conto del ruolo di collaborazione svolto dal lavoratore che ha segnalato gli illeciti. Ora la legge stabilisce che la segnalazione deve essere fatta nell'interesse dell'organizzazione e non per questioni personali e quindi è necessaria una adeguata tutela per chi si espone. «La legge prevede meccanismi sanzionatori se ci sono episodi di discriminazione, ma l'Anac non ha la possibilità di intervenire sul rapporto di lavoro». I casi negativi registrati in passato, anche per effetto della normativa precedente, «non hanno incentivato le collaborazioni, mentre in realtà non si tratta di premiare lo spione ma di mettere in discussione regole di omertà che nel mondo del lavoro esistono».

La tecnologia controlla e assorbe risorse
Nel corso dei lavori è stato approfondito il difficile rapporto tra l'evoluzione della tecnologia e quella del quadro normativo, con la seconda che spesso rincorre la prima. È il caso dell'intreccio tra tecnologia e privacy, dato che, come ha evidenziato il garante europeo della protezione dei dati, Giovanni Buttarelli, l'intelligenza artificiale si inserirà sempre più nella gestione del personale, nelle procedure di assunzione e al contempo si stanno robotizzando i lavoratori, con l'adozione di esoscheletri per aiutarli nelle mansioni più faticose. Tutto ciò comporta un monitoraggio continuo o la possibilità di farlo, con modalità di rilevazione che includono le reazioni espressive ed emotive e la possibilità di fornire indicazioni in tempo reale su come comportarsi. «Il controllo del lavoratore è quotidiano – ha affermato – il problema è se noi abbiamo gli strumenti giuridici per pensare in maniera innovativa».
Gli effetti dell'evoluzione tecnologica, unita alla globalizzazione e alla precarizzazione, sono stati affrontati anche da Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione dei popoli, secondo cui l'Italia, al pari di quanto avvenuto con la prima globalizzazione, cioè la scoperta dell'America, non ha le “caravelle” per affrontare il viaggio. Le caravelle di oggi sono i giganti come Amazon, Google, Alibaba, Ebay e sono americani o cinesi. Questi soggetti «determineranno conseguenze in modo drammatico perché hanno raggiungo una capacità economica impressionate, ma sono intermediari e drenano una enorme parte di reddito perché prendono il 20-30% del valore di una transazione. Siamo tutti intermediati» ha aggiunto Prodi.

Investire sui servizi
Quanto all'effetto già evidente della precarizzazione del lavoro, Prodi sostiene che non si può pensare a una società che vive su una larga parte di precarizzazione «perché non cresce, non guarda al futuro. È una grande sfida da affrontare, ma è politicamente difficile perché richiede una protezione di welfare forte, un intervento pubblico altrettanto forte ma siamo in una società che non concepisce le imposte. Chiunque parla di tasse perde le elezioni, e io ne sono una prova. Però tutti promettono tasse ma nessuno mantiene la promessa».
Idee poco allineate alle scelte politiche attuali le ha espresse anche Maurizio Del Conte, presidente Anpal, con particolare riferimento al reddito di cittadinanza e alle politiche attive del lavoro. «La politica guadagna più consenso nel trasferire risorse economiche direttamente nelle tasche degli elettori che non nell'aiutare un cittadino a trovare un lavoro che lo rende indipendente anche dalla politica stessa». A fronte di una tradizione di ammortizzatori sociali che servivano «per congelare la condizione di inattività dei disoccupati» occorre invertire la rotta e puntare sul reinserimento. Ma il Jobs act ha insegnato la differenza tra il disegno di una politica del lavoro e la sua implementazione. Del Conte ha espresso perplessità sul fatto che oggi ci sia una idea di come implementare le politiche attive, perché nessuno guarda al futuro. Se così fosse si dovrebbero destinare più risorse ai centri per l'impiego e meno al reddito di cittadinanza.

Equipollenza, una soluzione già disponibile
In un quadro complessivamente difficile, Piergiovanni Alleva, già ordinario di diritto del lavoro, ha sostenuto che l'ordinamento giuridico ha già metabolizzato l'evoluzione del mercato del lavoro, in cui c'è sempre più commistione tra impiego subordinato e autonomo. Ha ricordato che in base all'articolo 13 del Dlgs 81/2015 il contratto a chiamata è subordinato ma il lavoratore più rifiutare la chiamata, mentre i giudici nelle sentenze sui rider hanno affermato che questi lavoratori sono autonomi perché possono rifiutare la commessa. Da qui la tesi che le nuove modalità di lavoro possono rientrare in schemi già conosciuti e che il lavoro subordinato e autonomo si stanno mescolando giuridicamente secondo il concetto di equipollenza, già contenuto nell'articolo 69, comma 1, della legge Biagi, secondo cui le collaborazioni senza progetto diventavano equipollenti al contratto subordinato quanto alla disciplina di tutela. Più su come si produce, secondo Alleva, ci si deve interrogare su per chi si produce.

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