Rapporti di lavoro

Lavoro all’estero, il datore risponde per l'omessa valutazione dei rischi geopolitici

di Mario Gallo

Nel corso degli ultimi anni la nozione di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori contenuta nell'art. 2, c. 1, lett. q), del D.Lgs. n. 81/2008, è stata oggetto di molteplici interpretazioni in ordine ai confini che caratterizzano il suo oggetto a cui è saldamente ancorata l'obbligazione di sicurezza del datore di lavoro definita, nei suoi tratti somatici fondamentali, dall'art. 2087 c.c.

Invero, dall’art. 28, c.1, del predetto decreto emerge il principio universalistico in base al quale il datore ha il dovere di valutare tutti i rischi, di natura infortunistica, igienica e organizzativa, a quali sono esposti i lavoratori subordinati e equiparati (es. soci lavoratori, lavoratori in somministrazione, collaboratori coordinati e continuativi che svolgono la propria prestazione nei luoghi di lavoro del committente, etc.).

L’obbligo di valutazione dei rischi generici aggravati nel lavoro all'estero
Nel corso degli ultimi anni, poi, la giurisprudenza ha ritenuto che tale obbligo si estenda anche ai c.d. rischi generici aggravati, legati alla situazione geopolitica del Paese estero (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento; in merito occorre rilevare che recentemente il Tribunale di Roma con sentenza 21 gennaio 2019, nel confermare tale orientamento ha espresso anche alcune indicazioni in ordine al rapporto con la responsabilità amministrativa delle società e degli altri enti collettivi di cui al D.Lgs. n. 231/2001.

Il caso affrontato riguarda quattro lavoratori sequestrati da un gruppo terroristico in una città nordafricana, mentre stavano raggiugendo il luogo di lavoro, a quanto sembra utilizzando una via diversa quella che veniva usata abitualmente; purtroppo, due di loro venivano uccisi.

Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Roma ha, quindi, riconosciuto la responsabilità penale dei vertici della società datrice di lavoro – il Presidente del Consiglio di Amministrazione, alcuni consiglieri e un manager – oltre che la responsabilità della stessa società in relazione al già citato D.Lgs. n.231/2001, in quanto ha ritenuto che l’evento lesivo sia riconducibile a un difetto di misure di tutela della sicurezza dei lavoratori occupati nel paese straniero.

Bisogna ricordare che il D.Lgs. n. 231/2001, sancisce la responsabilità dell’ente qualora i reati siano commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dagli apicali – persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso – o da persone sottoposte alla loro direzione o alla vigilanza, salvo che abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.

Da rilevare che, nel caso dei reati in materia antinfortunistica rilevano i reati di danno, consistenti nell'omicidio colposo (art. 589 c.p.) e nelle lesioni colpose gravi e gravissime (art. 590).

Nel caso de quo il datore di lavoro è stato ritenuto, quindi, responsabile per aver omesso di predisporre il documento di valutazione dei rischi connessi all'attività all'estero dei propri sottoposti, con la condanna della società al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 150.000,00.

Tutela dei lavoratori trasferiti all’estero
Per i giudici, quindi, non sono stati valutati proprio i rischi geopolitici legati, quindi, alla situazione locale.

Si tratta di un orientamento che invero, conferma l’estensione dei principi di tutela consacrati nel D.Lgs. n.81/2008, anche alle attività aziendali svolte all’estero dal proprio personale, ponendosi in sintonia anche con quanto affermato dal Ministero del Lavoro e P.S. che nell'interpello 25 ottobre 2016, n.11, ha precisato che la valutazione dei rischi e il DVR devono riguardare anche i rischi ambientali «…potenziali e peculiari» legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta «..che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all'attività lavorativa svolta»; sarà interessante, comunque, valutare anche gli esiti dell’appello.

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