Rapporti di lavoro

Def, il Governo punta sul reddito di cittadinanza e salario minimo

di Fabio Antonilli

Salario minimo legale, andata e ritorno. Torna nel dibattito politico uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni. Con il Jobs Act del 2014 una delega, mai attuata, affidava al Governo il compito di introdurre una regolamentazione del salario minimo legale per i settori privi di copertura contrattuale. Nel 2019 il tema viene riproposto nel Programma Nazionale delle Riforme, Sezione III del Documento di Economia e Finanza, pubblicato nei giorni scorsi dal Governo. Si parla di "salario minimo orario" e si propone di attuarlo nel nostro ordinamento dando seguito al disegno di legge recentemente discusso in Commissione Lavoro del Senato (AS n. 658).
Il Governo lo individua come strategico per realizzare gli obiettivi di politica macroeconomica che stanno alla base del Programma di Stabilità: favorire l'incremento della domanda interna, e dunque il rilancio dell'Economia, attraverso l'introduzione di un reddito di cittadinanza per coloro che non hanno un lavoro (operativo dallo scorso marzo) e il contestuale aumento delle retribuzioni per i lavoratori collocati nella fascia bassa del Mercato del Lavoro (cd. working poor).
Secondo il Documento governativo l'introduzione di un salario minimo orario legale spingerebbe i beneficiari del reddito di cittadinanza ad abbandonare progressivamente la misura di sostegno al reddito per collocarsi nel Mercato del Lavoro poiché incentivati da un salario (quello legale) più elevato dello stesso reddito di cittadinanza. L'effetto ricercato, dunque, è l'innalzamento del cd. salario di riserva.
La proposta, invece, è – come detto - quella già in discussione in Parlamento: introdurre un salario minimo orario che non deve essere inferiore a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro e comunque non inferiore a 9 euro lordi l'ora. Esso avrebbe le caratteristiche di proporzionalità e sufficienza, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 36 della Costituzione. Per l'Esecutivo si tratterebbe "di un intervento di sostegno a garanzia dell'efficacia generale dei trattamenti salariali minimi previsti già nei contratti nazionali comparativamente più rappresentativi". Inoltre estenderebbe "la tutela della retribuzione anche a lavoratori oggi non coperti dai CCNL, applicandosi anche ai collaboratori con l'eccezione delle prestazioni intellettuali, delle attività effettuate dai membri di organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni, oltre che delle collaborazioni istituzionali".

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