Rapporti di lavoro

L’allarme Ocse: in Italia record di sottoccupati

di Giorgio Pogliotti

L’impatto negativo della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica più che sui posti che potranno scomparire, rischia di farsi sentire sulla qualità del lavoro e sulle disuguaglianze tra lavoratori che potrebbero peggiorare.

Nel report sul “Futuro del lavoro”, l’Ocse sottolinea come in media il 14% dei posti è «ad alto rischio di automazione», d’altra parte nuovi lavori saranno creati, ma la transizione non sarà facile. In Italia, i posti di lavoro ad alto rischio di automazione sono il 15,2%, appena al di sopra della media Ocse, mentre un altro 35,5% potrebbe subire sostanziali cambiamenti nel modo in cui vengono svolti, in sostanza richiederanno mansioni molto diverse da quelle attuali (la media Ocse è del 31,6%).

L’Ocse mette in guardia i governi perché senza un’azione immediata, le disparità del mercato del lavoro potrebbero aumentare, visto che alcuni lavoratori affrontano rischi maggiori di altri: i cosiddetti “atipici” hanno protezioni solo parziali, i lavoratori a bassa qualifica sono spesso esclusi da programmi di formazione.

Dalla comparazione tra i diversi Paesi emerge che la quota di lavoro temporaneo italiana è superiore alla media Ocse (15,4% di tempo determinato contro una media Ocse dell’11,2%) ed è fortemente cresciuta nell’ultimo decennio, mentre la percentuale di tempo parziale breve è allineata con la media Ocse (6,2% contro il 6,7%). L’Italia ha anche la quota di lavoratori sottoccupati più alta tra i 36 paesi Paesi industrializzati: la quota di lavoratori dipendenti che si dichiarano sottoccupati, perché lavorano meno di quanto vorrebbero, è più che raddoppiata tra il 2006 e il 2017 passando dal 5,6% al 12,2% (la media Ocse nel 2017 è del 5,4%). Ad essere più penalizzati sono i giovani, tra i quali è cresciuta del 12,3% la quota di quanti si considerano sottoccupati tra il 2006 e il 2017 (rispetto ad una crescita del 2,4% nella media Ocse): peggio di noi fa solo la Spagna. Penalizzate anche le donne, che hanno la crescita maggiore di sottoccupate tra i 36 Paesi industrializzati (+8,9%, rispetto alla media Ocse del + 0,9%).

Per l’Ocse la «formazione permanente» è lo strumento essenziale per aiutare i lavoratori più vulnerabili a gestire il cambiamento. In media il 40% degli adulti partecipa alla formazione nei paesi Ocse, ma la quota è più limitata tra i lavoratori a bassa qualifica e quelli con contratti atipici che, invece, ne avrebbero maggior bisogno. Solo il 20,1% degli adulti in Italia ha partecipato a programmi di formazione professionale. Solo il 60% delle imprese con almeno 10 dipendenti offre formazione continua ai propri dipendenti, contro una media dei paesi europei membri dell’Ocse del 75,2%. Secondo il report la contrattazione collettiva può svolgere un importante ruolo per integrare le politiche pubbliche, e il Ccnl dei metalmeccanici è considerato un valido esempio in questa direzione.

Il report si occupa anche del reddito di cittadinanza: il livello del sussidio è considerato «elevato rispetto ai redditi mediani italiani e relativamente a strumenti simili negli altri paesi Ocse». L’attuazione dovrà «essere monitorata attentamente per assicurare che i beneficiari siano accompagnati verso adeguate opportunità di lavoro». Il problema è che i servizi per l’impiego in Italia mancano di «personale qualificato, di strumenti informatici e di risorse adeguate e, per queste ragioni, la qualità dei servizi è bassa e varia notevolmente attraverso il Paese». Già nel precedente report sull’Italia l’Ocse aveva evidenziato che il livello di trasferimento del Rdc rischia di «incoraggiare l’occupazione informale e di creare trappole della povertà», suggerendo di abbassare l’importo delle prestazioni.

Tra presente e futuro

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