Rapporti di lavoro

Commercialisti, poche donne ai posti di vertice

di Antonello Cherchi

Fra gli iscritti all’Albo dei commercialisti o tra coloro che aspirano ad entrarvi, le donne continuano a crescere. In particolare fra le nuove leve: secondo i dati rilevati al primo gennaio scorso, le praticanti donne rappresentano il 49,3% del totale. Dunque, la componente “rosa” aumenta, ma non riesce a occupare le leve di comando. Le donne ai vertici della categoria restano poche, in particolare nel Consiglio nazionale, dove sono solo due contro 19 uomini.

Pari opportunità

A fotografare la presenza femminile fra i professionisti contabili è l’ultimo bilancio di genere messo a punto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Più si è giovani e meno si avverte lo scarto. E questo a conferma che la tendenza è quella di una lenta marcia verso la parità - almeno numerica - con i colleghi uomini.

Il gap è quasi inesistente, infatti, tra i praticanti: fra i 13.751 giovani aspiranti dottori commercialisti la parità è praticamente dietro l’angolo.

Se si guarda, invece, agli iscritti all’Albo, la differenza ancora si coglie. Al primo gennaio 2019 risultavano 118.639 professionisti, dei quali il 32,8% donne, con una leggera flessione rispetto alla quota registrata il primo gennaio dell’anno prima, quando le femmine risultavano il 33,8 per cento. Prima di questo calo, però, la quota di iscritte all’Albo è andata, negli ultimi dieci anni, progressivamente crescendo.

Per ritornare al “fattore giovani”, se si guarda alle classi di età degli iscritti, si nota che le donne che hanno meno di 41 anni sono l’8,3% del totale professionisti (contro il 10,1% di uomini), mentre tra i 41 e i 60 anni il rapporto percentuale è di 21,9 a 42,8 e oltre i 60 anni di 2,6 a 14,3.

A livello regionale, l’Ordine territoriale con la maggiore presenza femminile è quello dell’Emilia Romagna, dove la percentuale rosa è del 41%, mentre la più bassa appartiene alla Campania (26,3 per cento). Il rapporto meno favorevole si riscontra, però, nel Consiglio nazionale, dove le donne sono solo il 9,5 per cento.

Fuori dai posti di comando

La scarsa rappresentatività femminile nel massimo vertice della categoria fotografa un problema più generale: la ridotta presenza rosa nei posti di comando. Anche nei 131 Ordini territoriali le donne presidente, per quanto in crescita, sono solo 14 e 26 quelle con ruolo di vice-presidente. «Poiché diventa presidente dell’Ordine il capolista della lista che vince, bisogna incentivare - spiega Marcella Galvani, consigliere nazionale con delega alle politiche comunitarie e tra gli autori del bilancio di genere - la presenza di candidature femminili. Ci sono Ordini territoriali, come quello di Reggio Calabria e di La Spezia, dove non c’è alcuna donna».

Occorre, dunque, spingere di più sulle pari opportunità. Non soltanto per una questione “politica”: «Ci sono studi - aggiunge Galvani - che dimostrano che le imprese che investono sulle donne realizzano performance migliori». Funzionale alla parità di genere è una presenza più capillare, a livello degli Ordini territoriali, di organismi dedicati. A fine 2017 avevano risposto alla sollecitazione del Consiglio nazionale 97 Ordini e 61 di essi hanno istituito una commissione o un comitato per le pari opportunità. «Bisogna stimolarne la costituzione - commenta Galvani - anche perché si tratta di strumenti che consentono di focalizzarsi sul problema. Non dimentichiamo che le donne, insieme ai giovani, sono la parte più debole della categoria».

Minori guadagni

L’assenza di pari opportunità si sente anche sul reddito. Le donne guadagnano di meno. La media Irpef nazionale calcolata sugli iscritti nel 2017 alla Cassa di previdenza della categoria dice che se quella degli uomini è di oltre 68mila euro l’anno, per le donne si scende a poco meno di 40mila euro. Con sensibili differenze tra le diverse zone del Paese. Al Nord - e, in particolare, al Nord-Ovest - il reddito medio maschile è di quasi 101mila euro annui, mentre quello femminile si attesta sui 50mila; al Centro gli uomini guadagnano mediamente poco più di 43mila euro, mentre le donne si fermano un po’ al di sopra di 31mila euro.

«L’impressione - afferma Galvani - è che la differenza di guadagni fra i due sessi sia legata anche alla specializzazione: maggiori sono le competenze mirate, più alti i redditi. Per motivi vari, non ultimi gli impegni familiari, le donne tendono meno a specializzarsi. Il Consiglio nazionale deve, invece, offrire a tutte le colleghe la possibilità di farlo».

Vedi il grafico: Più bassi anche i redditi

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©