Rapporti di lavoro

La crociata della Commissione, i contrappesi dei giudici

di Marina Castellaneta

La questione delle tariffe professionali minime e/o massime inderogabili va avanti da molti anni. Con il rapporto Monti del 9 febbraio 2004 sulla concorrenza nei servizi professionali (Com(2004)83 la Commissione aveva posto l’accento sulla necessità di una modernizzazione delle professioni liberali, che passava attraverso l’eliminazione di ostacoli tra i quali le tariffe fisse. In particolare, sono stati individuati e monitorati, nel corso degli anni, cinque categorie principali di regolamentazione, potenzialmente restrittive, come la fissazione dei prezzi, la raccomandazione dei prezzi, la pubblicità, i requisiti di accesso e i diritti esclusivi e la struttura aziendale e le pratiche multidisciplinari.

Da quel momento la Commissione ha avviato una “crociata” per spingere gli Stati che tradizionalmente hanno un meccanismo di regolamentazione delle tariffe, tra i quali Italia e Germania, a modificare il sistema. Un argine negli interventi della Commissione europea è arrivato dalla Corte di giustizia Ue, che è stata centrale per chiarire non solo il diritto primario, ossia le norme del Trattato che garantiscono la realizzazione del mercato interno e la libera concorrenza, ma anche il diritto derivato. E questo con specifico riferimento alla direttiva 2006/123 sui servizi nel mercato interno, mentre altre direttive settoriali come la 98/5/Ce sull’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica, recepita in Italia con il Dlgs 96/2001, sono state al centro di interventi sull’eliminazione di restrizioni all’accesso alle attività professionali.

I principi cardine individuati dalla Corte - ossia che la regolamentazione delle tariffe può essere decisa solo dallo Stato e non da privati, con la conseguenza che gli Ordini professionali possono coadiuvare ma non sostituirsi allo Stato, che la regola è l’eliminazione delle tariffe, che deroghe possono essere ammesse per motivi di interesse generale come la tutela dei consumatori e la qualità dei servizi e che spetta allo Stato dimostrare la necessità di una misura e la sua proporzionalità rispetto all'obiettivo perseguito - sono oggi alla base della realizzazione del mercato interno nel settore delle professioni. Questo ha fatto sì che anche nella più recente direttiva 2018/958 relativa a un test della proporzionalità prima dell’adozione di una nuova regolamentazione delle professioni, da recepire entro il 30 luglio 2020, gli Stati membri possono «valutare la possibilità di stabilire requisiti tariffari minimi e/o massimi che i prestatori di servizi dovranno rispettare, in particolare per i servizi ove ciò sia necessario ai fini di un’applicazione efficace del principio del rimborso delle spese, purché tali restrizioni siano proporzionate e siano previste, se necessario, deroghe alle tariffe minime e/o massime».

Se, quindi, la negoziazione libera tra professionisti e clienti è considerata centrale dalla Commissione, che ritiene le tariffe fisse nocive alla libera concorrenza e alla libera prestazione dei servizi, la Corte ha salvaguardato un’autonomia degli Stati prevedendo, da ultimo, che non si può richiedere loro di dimostrare che nessun altro provvedimento permetta di raggiungere lo stesso obiettivo delle tariffe inderogabili alle stesse condizioni. Con l’onere della prova, circa la coerenza e la sistematicità delle regole interne pro-tariffe, sugli Stati.

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