Rapporti di lavoro

Spese aggiuntive in vista per le Pmi che partono da zero

di Davide Boffi

Sulla implementazione di un sistema di registrazione preciso e oggettivo delle ore lavorate per lavoratore, l’Italia si presenta ai blocchi di partenza in ritardo e un po’ in affanno. Mentre altri Paesi europei sono già intervenuti legislativamente su questo punto, in Italia l’obbligo non esiste ancora, perché l’articolo 5 del Dlgs 66/2003 (di attuazione della direttiva comunitaria 2003/88/Ce) si limita a prescrivere che «il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro».

Eppure l’Italia è anche tra gli Stati in cui si lavora di più, come confermano i dati Ocse aggiornati al 2018, da cui si evince che, con 1.723 ore lavorate annuali pro capite, l’Italia è leggermente sotto la media complessiva dei Paesi Ocse (pari a 1.724 ore lavorate annue) ma abbondantemente al di sopra della media dei Paesi europei, in cui si lavora decisamente di meno: da Spagna (1.701 ore annue) a Regno Unito e Francia quasi a pari merito (rispettivamente 1.538 e 1.520 ore annue) sino ad arrivare alla Germania dove si lavorano mediamente 1.363 ore all’anno (ben 360 ore in meno rispetto all’Italia).

In questo contesto, tuttavia, l’introduzione di un sistema che consenta la misurazione precisa della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore porterà ragionevolmente a un tendenziale abbassamento della media di ore lavorate per anno, mentre sarà molto limitata la possibilità sia di derogare ai limiti di orario giornalieri sia, soprattutto, di evitare il pagamento di ore di lavoro straordinario effettivamente svolte.

I sistemi di misurazione

Sulle modalità concrete di attuazione del sistema di misurazione dell’orario e in particolare sulla forma che dovrà assumere, la sentenza della Corte di giustizia demanda agli Stati membri il compito di individuare le forme più adatte tenendo conto, se del caso, delle specificità proprie di ogni settore di attività interessato e anche delle particolarità delle dimensioni delle imprese.

Quest’ultimo punto è molto rilevante: è chiaro che le aziende che principalmente sosterranno i maggiori oneri per implementare il nuovo sistema di misurazione saranno le piccole e medie imprese, visto che le grandi realtà aziendali sono già dotate di sistemi, spesso sofisticati, di rilevazione delle presenze e di specifiche procedure aziendali che prevedono strumenti di registrazione e di conservazione di questi dati, anche nel rispetto della privacy.

Ma non saranno probabilmente solo le imprese di piccole e medie dimensioni ad avere problemi nell’implementazione del nuovo sistema. Infatti, in un mondo del lavoro sempre più orientato a metodologie flessibili o “smart” in cui prevale la smaterializzazione del luogo di lavoro, risulta difficile - se non addirittura anacronistico - pensare a un sistema rigido di misurazione del tempo del lavoro. Vedremo, in questo senso, come il Legislatore nazionale riuscirà a contemperare le esigenze di una prestazione lavorativa sempre più liquida con il nuovo sistema previsto dalla sentenza della Corte di giustizia.

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