Rapporti di lavoro

Studi: il piano incentivi innovativo supera i premi solo in denaro

di Paola Parigi

Il piano di incentivazione dei collaboratori di studio deve essere dinamico: una volta costruito, va condiviso, aggiornato e, se gli obiettivi che ne sono alla base non vengono raggiunti, deve essere modificato. Per dotarsi di un piano incentivi lo studio ha seguito il percorso obbligato che passa dal definire gli obiettivi dello studio e dei singoli collaboratori o dei team, a valutarne ex post il successo per attribuire, infine, la misura in termini di compenso variabile, benefit o bonus una tantum (si veda il Sole 24 Ore del 21 ottobre).

Il cambio in corsa
Nel piano di incentivi gli obiettivi a cui lo studio tende rispondono alle intenzioni di crescita, consolidamento, riposizionamento o sviluppo. Se il piano è stato adeguatamente discusso, ogni addetto avrà espresso la propria adesione o motivato altrimenti le sue personali ambizioni: il documento,infatti, va condiviso e ciclicamente revisionato. Obiettivi troppo ambiziosi o mal concepiti non potranno essere raggiunti e l’errata valutazione dei titolari non dovrà riflettersi sui ritorni economici dei soci e dei collaboratori. È più che lecito, anzi consigliabile, cambiare idea e rimodulare, in corso d’anno, quanto incluso nel piano previsionale se le condizioni iniziali sono cambiate.

Per funzionare, poi, il piano deve tener conto del progetto di crescita professionale di ciascun componente dello studio, essere immaginato come risultato degli sforzi individuali e non calato dall’alto.

Questo percorso personale discusso con i singoli collaboratori può prevedere anche periodi di aggiornamento e formazione, stages, distaccamento (secondment) presso clienti o altre sedi, così come cambiamenti di ruolo o di gruppo di lavoro.

Ma la parte più consistente dell’incentivo viene di solito corrisposta negli studi sotto forma di compenso variabile e di bonus. Il compenso variabile, che normalmente integra e contribuisce a formare la retribuzione, dovrà tenere conto del raggiungimento degli obiettivi fissati: ad esempio l’apporto di nuovo lavoro, o il numero di ore e pratiche lavorate, il contributo nella formazione dei giovani di studio, le attività di marketing e reputazionali, l’attività accademica o pubblicazioni, l’adesione all’aggiornamento tecnologico del lavoro. Ma anche della misura dell’impegno prestato, in relazione al ruolo ricoperto.

La misura dei bonus
La misura della redistribuzione degli utili di studio ai collaboratori è direttamente correlata alla forma giuridica dell’organizzazione. In alcuni casi infatti (ad esempio nella cooperativa tra professionisti), ne discende un vantaggio fiscale indiretto per lo studio, in altri casi no.

Anche a seconda di questa discriminante, non è possibile identificare una formula generale, ma il profit sharing system va tagliato e cucito su misura per l’organizzazione e vagliato anche alla luce dell’impatto fiscale, tanto per lo studio, tanto per il collaboratore. Non è l’unica ragione che spinge alcune organizzazioni a riconoscere benefici non erogati in denaro, ma che abbiano un valore economico per chi li riceve, come i viaggi premio, le polizze assicurative, i corsi di formazione e le promozioni.

La carriera come bonus
Non tutti gli studi professionali hanno strutture tali da consentire di affiancare ai bonus anche degli avanzamenti di carriera; spesso lo studio ha una rigida gerarchia (o proprietà), che non consente la creazione di percorsi di crescita o cambio di ruolo.

La prospettiva del riconoscimento di un diverso spazio nella gerarchia di studio, che di solito si accompagna a maggiore autonomia, maggiore responsabilità, oltre che all’avanzamento economico pone alcune difficoltà. Se un passaggio di carriera può essere previsto, questo dovrebbe essere il punto finale di uno specifico percorso, non andrebbe scambiato per una gratificazione.

In ogni caso un buon piano di incentivazione è pensato sia per indirizzare nella stessa direzione sia le ambizioni del singolo sia quelle dell’organizzazione.

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