Adempimenti

Covid-19, regole certe sulle responsabilità delle imprese

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Per le aziende diverse da quelle sanitarie, il rischio Covid non è un rischio specifico, ma, come prevede il protocollo sottoscritto dalle parti sociali lo scorso 14 marzo - e come ribadito da Ispettorato nazionale del lavoro e regione Veneto - è un rischio generico di natura emergenziale, non fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari. «L’obbligo di attenersi strettamente alle indicazioni pubbliche straordinarie non lascia pertanto spazio alla tradizionale valutazione dei rischi», spiega Fabio Pontrandolfi, dirigente di Confindustria dell’area Lavoro, welfare e capitale umano e responsabile dei temi su salute e sicurezza sul lavoro. Non solo. Per le aziende attive e per quelle che, in questi giorni, inizieranno, gradualmente a riprendere l’attività, è richiesto, come del resto a tutti i cittadini, di rispettare scrupolosamente le indicazioni del governo, sia quelle vincolanti sia le raccomandazioni.

Interventi dettati dal governo

Qualche esempio concreto? «Il datore non può né deve assumere iniziative diverse dalle indicazioni pubbliche - continua Pontrandolfi-, non può decidere se e quali DPI adottare, non può modificare le indicazioni di natura organizzativa contenute nelle indicazioni pubbliche e nel protocollo, e non può nemmeno disporre la chiusura o la riapertura della propria azienda laddove diversamente prescritto dalle autorità. Soprattutto, non può essere chiamato a valutare un rischio relativo ad un pericolo che non ha introdotto in azienda e che la comunità scientifica non conosce e ad adottare misure che sarebbero, inevitabilmente, inadeguate: la valutazione è giornalmente fatta dall’Esecutivo, nella logica della precauzione e le misure per le aziende sono dettate dal Governo anche attraverso il protocollo, espressamente richiamato nei Dpcm». Insomma, attenzione - sintetizza Pontandolfi, ad «attribuire in questa fase delicata alle imprese una responsabilità, civile e penale, per non aver impedito il contagio, come se il solo fatto di lavorare fosse un rischio».

Il protocollo delle parti sociali

Nei luoghi di lavoro il protocollo va recepito ed aggiornato in base all’evoluzione della scienza e delle policy di sanità pubblica? «Tutti i datori di lavoro - spiega Marco Marazza, ordinario di diritto del Lavoro all’Università Cattolica di Roma - devono con diligenza adattare le prescrizioni del protocollo alla specificità della propria azienda. Ad esempio, individuando la procedura di ingresso più idonea rispetto allo stato dei luoghi ed al tipo di produzione. E per fare questo, anche in accordo con le rappresentanze dei lavoratori, è corretto che si avvalgano del medico competente e di altre competenze adeguate. Ma l’aggiornamento del protocollo è tutt’altra cosa. Ciò che il datore di lavoro non può essere chiamato a fare, soprattutto in un caso di pandemia come questo, dove anche la scienza è in continua evoluzione, è individuare misure diverse o ulteriori rispetto a quelle indicate chiaramente dalla pubblica autorità e dal protocollo».

Il comportamento delle aziende

Quindi, oltre l’adattamento delle regole e misure già fissate non c’è, dunque, nessun margine di valutazione autonoma sulla individuazione delle cose da fare? «Il punto - sottolinea Marazza - è che il codice civile impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che secondo le teorie scientifiche prevalenti sono idonee a tutelare la salute del lavoratore. Ma qui, per un verso, siamo di fronte ad un rischio di natura generica che esiste nei luoghi di lavoro come a casa. E, per l’altro, sono state definite dall’autorità le misure cautelari idonee a prevenire il rischio di contagio sulla base di indicazioni formulate proprio alla luce delle teorie scientifiche prevalenti. Certamente si tratta di misure che potranno e dovranno essere aggiornate dall’autorità governativa, in base all’evoluzione degli studi medici, ma altrettanto certamente non si può chiedere al datore di lavoro di individuarne altre andando lui a ricercare quale è tesi scientifica prevalente nel panorama mondiale».

Esigenza di chiarezza

In questo quadro, concordano i due esperti, sarebbe d’aiuto una norma che chiarisca obblighi e responsabilità del datore di lavoro e dell’impresa e tutele del lavoratore. «Il datore di lavoro è chiamato a rispettare le indicazioni dell’autorità, tra cui il protocollo - continua Marazza- in questo dovrebbe esaurirsi il perimetro delle sue responsabilità. È anche una questione di affidamento dei privati sulla certezza e sicurezza dell’ordinamento giuridico, un valore che la Corte Costituzionale ha più volte evocato». Quello che abbiamo di fronte è uno scenario inedito e sull’operatività di diversi istituti vi sono punti di vista diversi. Ad esempio sull’estensione della tutela Inail; sia la norma che la circolare applicativa sono oggetto di dibattito tra gli esperti. «Non bisogna perdere di vista - chiosa Marazza - il fatto che l’influenza Covid 19 non ha evidentemente origine professionale e potranno sorgere molte questioni sull’accertamento del nesso occasionale con le mansioni esercitate, che va dimostrato. Anche nei casi in cui una persona esce di casa solo per andare in ufficio potrebbe non essere facile ricostruirlo. Ecco, l’estensione della copertura Inail non dovrebbe indurre a pensare che è sufficiente uscire di casa per andare al lavoro per giustificare l’occasione di lavoro».

Il ruolo della contrattazione

Ma, in questo scenario, un ruolo da protagonista la sta avendo la contrattazione collettiva che si sta muovendo per assicurare un riavvio della produzione con il massimo della sicurezza, ribadendo alcune misure precauzionali, dalla distanza minima di un metro, alle mascherine durante lo svolgimento della mansione, alle “quarantene” in caso di rischio contagio, alla misurazione delle febbre, in ingresso e in uscita. Si registrano un gran numero di accordi tra aziende e sindacati, anche a livello settoriale, sulle linee guida sulla sicurezza contro la diffusione di Covid-19, come raccontiamo negli articoli in queste pagine. «L’azione negoziale è intensa su tutto il territorio nazionale ed è ispirata alla priorità assoluta della sicurezza della persona nei luoghi di lavoro - spiega Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl-. Le nostre Federazioni hanno già firmato centinaia di accordi che coinvolgono decine di migliaia di lavoratori nei maggiori comparti, dal metalmeccanico ai trasporti, dal tessile alla chimica, dal commercio ai servizi. Accordi non solo difensivi, ma capaci di costruire le condizioni della ripartenza, di modificare l’organizzazione e l’ecosistema del lavoro, adeguando spazi e tempi alle nuove esigenze, declinando rigorosamente in ogni comunità lavorativa i contenuti del Protocollo del 14 marzo. Parliamo quindi di approvvigionamento dei Dpi, di nuove regole sul trasporto aziendale, di sanificazione e gestione degli spazi comuni come mense e spogliatoi, del rilevamento temperatura corporea all’ingresso. Sono stati sviluppati i temi del distanziamento, di una maggiore flessibilità sugli orari e sulla turnistica, della formazione e dello smart working». Secondo Sbarra «c’è tanta voglia, attraverso la contrattazione, di mettere in campo competenze, responsabilità, partecipazione per una progressiva e graduale riaccensione del motore nazionale. L’esercizio negoziale delle parti sociali a livello nazionale e decentrato è un volano insostituibile in questa fase, e lo sarà ancora di più dopo la fine dell’emergenza. Al Governo il compito di valorizzarlo».

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