Rapporti di lavoro

Si può parlare di diritto emergente allo smart working?

di Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis

I provvedimenti emergenziali emanati dal Governo per gestire l'emergenza pandemica in corso da Covid-19 hanno attribuito, a tutti gli effetti, allo smart-working anche la funzione di strumento di contenimento del contagio e conseguentemente di misura per la tutela della salute dei lavoratori.
Lo smart-working, infatti, è una modalità di svolgimento dell'attività lavorativa che pur consentendone la continuazione, permette, riducendo sostanzialmente gli ingressi e la frequentazione della sede di lavoro, di ridurre i contatti tra le persone e di conseguenza anche i rischi di contagio.
Se è vero che non si può parlare di un diritto del lavoratore allo smart-working e altrettanto vero che non si può definire mera facoltà, quella del datore di lavoro, ad attivare la modalità di lavoro agile ai tempi del COVID19.
Sul punto, è lo stesso Tribunale di Grosseto (sez. lavoro, ordinanza 23 aprile 2020), il cui provvedimento esamineremo nel proseguo ad affermare che: "In tale contesto, il ricorso al lavoro agile, disciplinato in via generale dalla legge 22 maggio 2017, n. 81, è stato considerato una priorità. Per ovvie ragioni, tale modalità lavorativa non può, né poteva, essere imposta in via generale ed indiscriminata; cionondimeno la stessa è stata, reiteratamente e fortemente, raccomandata ed addirittura considerata modalità ordinaria di svolgimento della prestazione nella P.A. (cfr. art. 87, D.L. 18/2020). Inoltre, ai sensi dell'art. 39, co. 2, D.l. ult. cit., "ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017,"
La vicenda trae origine da un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. depositato da un lavoratore che rivendicava il diritto all'attivazione della modalità di lavoro agile.
Il lavoratore, de quo, con mansioni di addetto all'attività di back-office del servizio di assistenza legale e contenzioso, con contratto a tempo indeterminato ed inquadramento al 5° livello del CCNL del settore commercio e terziario:
– con comunicazione del 2 marzo 2020, aveva richiesto al proprio datore di lavoro di poter svolgere la prestazione lavorativa in modalità lavoro agile in considerazione della "personale condizione patologica" essendo invalido civile oltre che a fronte "degli eventi drammatici che stanno interessando il nostro paese";
– dal 3 marzo 2020 era in malattia e avrebbe dovuto riprendere il servizio il successivo 20 marzo, avendogli il medico prescritto l'allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa delle patologie croniche polmonari preesistenti, non poteva essere sottoposto al rischio di contrarre l'infezione da COVID19.
In riscontro alla richiesta del dipendente, la società gli aveva prospettato la collocazione in ferie da computarsi su un monte ore non ancora maturato o, in alternativa, la sospensione non retribuita del rapporto fino alla cessazione della incompatibilità indicata nella prescrizione medica
Il lavoratore non aderiva a nessuna delle due proposte datoriali ed agiva in giudizio con ricorso ex art. 700 c.p.c., lamentando che il datore di lavoro aveva illegittimamente rifiutato di adibirlo al lavoro agile nonostante tutti i colleghi del suo reparto fossero già stati collocati in smart-working e richiamando il disposto di cui al citato art. 39 co. 2 del Decreto Cura Italia.
La società si difendeva "rimarcando l'infondatezza del ricorso avendo essa proceduto alla scelta dei soggetti da collocare in lavoro agile all'epoca in cui il ricorrente si trovava in malattia e trovandosi, in seguito, nell'impossibilità di modificare l'organigramma del personale cui era consentito lavorare in remoto, salvo affrontare costi significativi in termini economici ed organizzativi ".
Il Giudice chiamato a decidere, si soffermava su una questione preliminare. In particolare, sulla contestata ammissibilità in astratto di una domanda di condanna ad un facere infungibile ribadendo che la questione dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza era stata risolta "su linee interpretative per lo più convergenti nel senso dell'ammissibilità di siffatte domande. In particolare, la giurisprudenza di merito ha più volte respinto la tesi della necessaria correlazione tra provvedimento cautelare ed esecuzione forzata evidenziando invece come l'ammissibilità di un provvedimento d'urgenza di condanna ad un facere infungibile passi attraverso il necessario riconoscimento che la pronuncia, per quanto impositiva di un obbligo incoercibile, costituisce, comunque, uno strumento di 'coazione indiretta' e, implicando un accertamento dell'illecito, risulta, in caso di inosservanza, strettamente funzionale alla successiva richiesta di risarcimento dei danni. […]. Sotto altro, ma convergente, profilo è stata valorizzata l'idoneità di siffatti provvedimenti ad esercitare "una certa pressione sull'obbligato ai fini del suo adempimento volontario" […]. La condanna ad un facere infungibile è stata ritenuta ammissibile anche sul presupposto che la parte soccombente potrebbe comunque dare volontaria esecuzione al provvedimento d'urgenza".
A seguito di questa doverosa premessa, il Tribunale di Grosseto, ritenendo prive di pregio le ragioni giustificatorie prospettate dal datore di lavoro, precisava che:
il lavoratore svolge mansioni carattere impiegatizio di back office cui è tipicamente estraneo il confronto diretto con il pubblico;
il lavoratore è affetto da una grave patologia polmonare che ha determinato il riconoscimento di un'invalidità civile per la riduzione permanente della sua capacità lavorativa al 60% con riduzione anche della capacità di deambulazione;
– il lavoratore ha rappresentato all'azienda di aver provveduto all'installazione di una rete wi-fi mobile presso il proprio domicilio;
– la società ben avrebbe potuto per tempo adottare le misure organizzative invocate dal ricorrente in previsione del suo rientro, laddove è pacifico, inoltre, che l'azienda ha adottato la modalità di lavoro agile per i colleghi di reparto del ricorrente;
– deve considerarsi fragile la tesi secondo cui il certificato medico curante del lavoratore di temporanea inidoneità alla mansione specifica datato 3.4.2020 (doc. 13 ric.) avrebbe imposto alla resistente di non adibire ad alcuna attività lavorativa il dipendente posto che "il certificato si limita ad indicare l'allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa delle patologie croniche polmonari preesistenti, il lavoratore non poteva essere sottoposto a rischi aggiuntivi di contrarre l'infezione da Covid19" .
In questo scenario, precisava il Giudice, occorre valutare l'incidenza, rispetto alla vicenda in esame, delle previsioni in tema di lavoro agile dettate dalla recente normativa d'urgenza e in particolare, quanto disposto dal citato art. 39 e dall'art. 1 lett. h) del DPCM 10 aprile 2020 secondo cui "si raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall'art. 2, comma 2" che evidentemente non può essere considerata una mera "raccomandazione".
In definitiva, il Giudice in primo luogo dava atto dell'esistenza dei presupposti per il ricorso d'urgenza, avendo rilevato la sussistenza:
– del fumus bonis iuris ("deve quindi concludersi che, nello specifico contesto come sopra riassunto, il rifiuto di ammettere il ricorrente al lavoro agile e la correlata prospettazione della necessaria scelta tra la sospensione non retribuita del rapporto e il godimento forzato di ferie non ancora maturate si profilano illegittimi"), nonché
– del periculum in mora ("Sussiste altresì il cd. periculum in mora atteso che il ricorrente, non potendo rientrare fisicamente in azienda almeno fino al 30.4.2020 ed avuto riguardo al tempo ordinariamente occorrente per fare valere i propri diritti in via ordinaria, si troverebbe di fronte alla scelta tra due distinte, ingiustificabili, rinunce: alla retribuzione o al godimento annualmente ripartito delle ferie come via via maturate in ragione del lavoro prestato. In entrambi i casi con sicura compromissione di diritti fondamentali ed intangibili del lavoratore.")
Quanto al merito della questione, anche alla luce delle disposizioni emergenziali citate, il Giudice adito definitivamente sanciva il diritto del lavoratore allo smart working sulla base delle ragioni che seguono.
Laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, il ricorso alle ferie - che deve essere considerato misura comunque subordinata – o quantomeno equiparata, non certo primaria – al lavoro agile - non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto se vi siano titoli di priorità per ragioni di salute, come nel caso in esame.
In altre parole, accertata, la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore non concedendogli di lavorare in modalità agile e prospettandogli la promozione del godimento delle ferie.
Da ultimo, il Tribunale ha ritenuto anche di prevedere uno strumento di coercizione indiretta a carico della società in questi termini: "In ragione della peculiarità della vicenda e della necessità di assicurare il rispetto della presente pronuncia con effetto immediato a fronte della brevità dell'arco temporale (allo stato) residuo con riferimento alla cogenza di essa, si ritiene che sussistano le condizioni per la concessione del richiesto strumento di coercizione indiretta ex art. 614 bis cpc con lo scopo di incentivare l'adempimento dell'obbligo imposto, cui la resistente si è dimostrata refrattaria pur a fronte delle reiterate richieste del ricorrente lavoratore invalido. Nello specifico, tenuto conto della natura della prestazione, del danno prevedibile, delle condizioni personali e patrimoniali delle parti, si ritiene equo fissare la somma dovuta nella misura richiesta di 50 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del presente provvedimento
In tema di smart-working, rileviamo piena coerenza tra la decisione del Tribunale di Grosseto e il tenore delle disposizioni emergenziali, anche con riferimento alle più recenti.
Il sempre maggior rilievo allo smart-working come misura cardine per gestire la continuazione dell'attività lavorativa in sicurezza è infatti, da ultimo, confermato dalla modifica dell'art. 39 del Decreto Cura Italia da parte della L. n 17 del 24 aprile 2020 che ne ha ampliato la portata e dall'ennesimo invito all'attivazione della modalità di lavoro agile inserito nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e per il contenimento del virus COVID19 negli ambienti di lavoro del 24 aprile 2020.

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