Rapporti di lavoro

Smart-working solo andata, adesso c’è nel 97% di imprese

di Mauro Pizzin

L’emergenza Covid-19 potrebbe rappresentare uno spartiacque per il lavoro agile. Spinto dalle circostanze, in molti casi anche per evitare la sospensione dell’attività, il mondo delle imprese italiane si è trovato nella necessità di ricorrere in massa al lavoro da casa (a dir poco incoraggiato negli stessi protocolli anti-contagio firmati dalle parte sociali), scoprendo in taluni casi che le modalità operative da remoto non confliggono necessariamente con la produttività e che il rapporto costi-benefici può essere più che positivo, non solo per il lavoratore interessato. Con la conseguenza che l’incidenza del lavoro agile è destinata a crescere rispetto al passato anche una volta archiviata l’emergenza coronavirus. Sullo sfondo emerge, però, anche la necessità di implementare la formazione, a partire da quella dei manager che devono guidare il processo di cambiamento nell’organizzazione del lavoro.

È quanto emerge dalla quick survey promossa da Fondirigenti: un lavoro effettuato in una congiuntura quantomeno problematica e che ha coinvolto complessivamente 12mila contatti presenti nel database del fondo interprofessionale promosso da Confindustria e Federmanager, attivo nella formazione continua dei dirigenti d’impresa. A conferma dell’importanza del tema, in una decina di giorni sono state oltre 800 le risposte ottenute, provenienti per l’87% da imprese private, con una netta prevalenza di Pmi (90% contro il 10% di grandi aziende): realtà del nord per il 76%, del centro per il 15% e del Sud e delle Isole per il 10 per cento.

Lo scenario pre-crisi
Punto di partenza dell’indagine sono stati i dati pre Covid-19, i quali evidenziavano che in media le aziende intervistate le quali avevano attivato lo smart working erano il 39% al Nord, il 42% al Centro e il 36% al Sud. Quasi un lavoratore su tre (39%) era già operativo in modalità smart, con una presenza particolarmente significativa in un’area come quella del Centro Italia, in cui il settore dei servizi è particolarmente rappresentato. Lievemente inferiore a due era, inoltre, il numero dei giorni lavorati fuori sede, con una maggiore flessibilità nelle Pmi piuttosto che nelle realtà più grandi (28% di lavoratori in smart contro il 25%).

Numeri tutto sommato ancora ridotti e che confermano quanto già evidenziato in un’indagine condotta da Eurostat e relativa all’anno 2018, secondo cui l’Italia si collocava appena al 22° posto nell’Unione europea per l’impiego di smart working nel settore pubblico e in quello privato.

I numeri dell’emergenza
Questo scenario è stato stravolto dall’emergenza, con l’attivazione del lavoro agile da parte del 97% delle imprese coinvolte nell’indagine, l’80% delle quali ha impiegato nella nuova modalità oltre la metà dei lavoratori, senza rilevare particolari differenze o difficoltà di adattamento tra lavoratori in relazione alle diverse funzioni aziendali o alle fasce di età. Un salto in avanti, quello del lavoro agile (ma in molti casi in questi momenti di crisi si dovrebbe parlare, più correttamente di telelavoro, ndr), determinato principalmente dal coronavirus (per 4,76 aziende in media, su una scala di 1 a 5), anche se – a leggere le risposte fornite dai responsabili delle aziende coinvolte nel sondaggio – sono presenti altre motivazioni, come i benefit per il lavoro (2,87), le esigenze produttive dell’impresa (2,58), il miglioramento della produttività (2,37%) e l’economicità (2,09%).

Quello verso il lavoro agile è stato un cambio di rotta effettuato facendo per lo più leva sulle risorse interne: il 77% delle aziende ha affrontato infatti la nuova sfida con i propri mezzi, mentre solo il restante 23% ha fatto ricorso a consulenti esterni, al gruppo di appartenenza e alle associazioni di rappresentanza.

Le priorità aziendali
Per favorire il lavoro agile le imprese hanno dato la priorità alla messa a disposizione dei collaboratori di adeguate dotazioni tecnologiche (77%), a partire da pc e tablet (85,6%) per proseguire con sistemi per condividere la rete (68,3%), smartphone e sim aziendali (67,3%), piattaforme per riunioni virtuali (61,8%) e chat aziendale (50,8%). L’organizzazione del lavoro per obiettivi (47%) è stata le seconda priorità evidenziate, mentre per gran parte dei rispondenti non è stato considerato strategico attivare sistemi di monitoraggio dell’attività a distanza (16%).

Il peso della formazione
Il 13% delle realtà interessate ha deciso di avviare in questo frangente di avviare anche dei corsi di formazione specifici sullo smart working: un punto di partenza, più che di arrivo se solo si considera che secondo la maggior parte delle aziende coinvolte nell’indagine proprio la formazione dovrà svolgere un compito molto importante. Anche sotto questo aspetto a parlare sono i numeri: in un range di valore da 1 a 5, il livello di utilità della formazione dichiarato dai rispondenti è stato infatti di 3,6.

Secondo gli intervistati la formazione dovrà riguardare soprattutto il management e la gestione delle risorse (3,8), ma grande importanza viene data anche a corsi di cyber security e alla digitalizzazione dei processi aziendali (3,7). Una indicazione, quest’ultima, che spingerà anche Fondirigenti a insistere su questo ramo formativo. «Se si pensa che abbiamo promosso questa quick survey nel mezzo dell’emergenza sanitaria – ha sottolineato Carlo Poledrini, presidente del fondo interprofessionale - l’interesse riscontrato da manager e imprese ci conferma quanto sia importante investire sui temi del lavoro, perciò avvieremo già quest’anno altre iniziative di livello nazionale».

Le prospettive future
L’indagine di Fondirigenti indica che i numeri del lavoro agile saranno superiori, una volta terminata l’emergenza: più precisamente, in futuro sei dipendenti su dieci saranno in smart working, contro il 46,19% degli attuali. In tutte le imprese che hanno accettato di rispondere alla quick survey si coglie, infatti, la percezione di poter aumentare questa percentuale rispetto al periodo precedente il Covid-19 fino al 58,6% (+12%), per salire al 60% se si parla di grandi aziende.

Si tratta di una scelta destinata a registrare mediamente un elevato livello di consenso da parte degli stessi lavoratori, che secondo l’indagine è maggiore tra chi era già abituato a questa modalità prima del Covid-19 rispetto a chi è in smart working solo da qualche settimana.

«La rotta da seguire anche per il post-Covid è tracciata - ha concluso il direttore di Fondirigenti, Costanza Patti -: le competenze manageriali vanno rinnovate, dobbiamo favorire la crescita dei modelli organizzativi, con una forte spinta sulla formazione. La nostra ricerca dimostra l’utilità della formazione sul lavoro agile con particolare interesse verso i temi del management, della gestione delle risorse e della digitalizzazione dei processi aziendali».

La rivoluzione smart del lavoro

La rivoluzione smart del lavoro

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©