Rapporti di lavoro

Diritto alla disconnessione, l’Europa detta le regole

di Antonio Carlo Scacco

L'Italia dovrà adattare la sua legislazione in materia di diritto alla disconnessione, attualmente contenuta nell'articolo 19 della legge 81/2017 (recante, tra l'altro, norme sul lavoro agile), alle nuove indicazioni dettate in ambito Ue. Lo si evince dalla lettura del progetto di relazione, licenziato dalla Commissione per l'occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo lo scorso 28 luglio, recante raccomandazioni alla Commissione per la approvazione di una direttiva sul diritto alla disconnessione (2019/2181(Inl)). Il diritto alla disconnessione è il diritto del lavoratore di non utilizzare le apparecchiature che servono allo svolgimento della prestazione lavorativa fuori del normale orario lavorativo senza che da ciò possano derivare effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro. Ha assunto un preminente rilievo negli ultimi anni con l'utilizzo generalizzato di dispositivi digitali portatili di elevate prestazioni e ormai alla portata di tutti (smartphone, tablet, ecc.), che di fatto rendono possibile una comunicazione continua con il lavoratore (always on e time porosity). In tempi di Covid-19 l'esigenza di una disconnessione regolamentata è ancora più sentita, considerato che, secondo il sondaggio online “Living, Working and Covid-19”, promosso nell'aprile 2020 da Eurofound, ben il 37% degli intervistati ha dichiarato di aver cominciato a lavorare da casa (smartworking e telelavoro) durante l'isolamento. Nella Ue soltanto quattro Stati, al momento (Francia, Spagna, Italia e Belgio), hanno adottato un approccio virtuoso (cosiddetto balanced promote-protect approach). All'opposto altri Stati (Norvegia, Regno Unito, Cipro, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lettonia e Svezia) non prevedono alcuna regolamentazione in materia di smartworking. La normativa più evoluta sembra essere quella spagnola (articolo 88 della Ley Orgánica 3/2018), che garantisce un vero e proprio diritto alla disconnessione a tutti i lavoratori privati e pubblici secondo le indicazioni della contrattazione collettiva o, in mancanza, degli accordi tra il datore e i rappresentanti dei lavoratori. La Francia, che può essere considerata la pioniera nel settore, prevede un droit à la déconnexion sancito dal Code du travail (article L2242-17, 7), applicabile a tutti i dipendenti delle aziende con almeno 50 dipendenti e soggetto a contrattazione annuale con le parti sociali. La Germania, invece (Recht auf Abschalten), preferisce affidarsi alla contrattazione collettiva, senza specifici obblighi normativi per i datori.

Le mosse dell’Unione europea
L’attuale mancanza di una normativa specifica europea in materia di diritto alla disconnessione, ha indotto l'Europa a correre ai ripari. Il progetto di relazione presentato dalla Commissione per l'occupazione (dovrebbe tradursi in una vera e propria direttiva entro l'anno) prende atto del fatto che le misure adottate in conseguenza della crisi della Covid-19 hanno cambiato le modalità di lavoro e che, durante il confinamento, oltre un terzo dei lavoratori dell'Unione ha cominciato a lavorare da casa, rispetto al 5 % che già lo faceva prima della crisi.

Il diritto alla disconnessione, si legge nel documento, dovrebbe costituire un diritto fondamentale e un importante obiettivo della politica sociale al fine di garantire la tutela dei diritti di tutti i lavoratori nella nuova era digitale. Di particolare interesse la lettura del punto 19 del progetto di relazione, dove si legge testualmente che «Le modalità pratiche per l'esercizio del diritto alla disconnessione da parte del lavoratore e per l'attuazione di tale diritto da parte del datore del lavoro dovrebbero essere concordate dalle parti sociali per mezzo di un accordo collettivo o a livello dell'impresa datrice di lavoro». In tali termini la raccomandazione si pone in antitesi con il meccanismo attualmente previsto dalla normativa italiana, che affida al solo accordo individuale tra datore e lavoratore la disciplina dell'eventuale diritto alla disconnessione.

La norma italiana può essere criticata anche sotto altri profili. Il riconoscimento della possibilità di fruire della disconnessione (la formulazione letterale della norma non consente di considerarlo un vero e proprio "diritto" del lavoratore alla disconnesione) è previsto solo a favore dei lavoratori in modalità agile (in ogni caso lavoratori subordinati) e comporta il rischio di una personalizzazione eccessiva del diritto, con la possibilità che dipendenti della medesima azienda si vedano riconosciuti diritti differenti (o esercitabili con modalità differenti). Infine, la debolezza intrinseca di una delle parti contraenti l'accordo individuale (lavoratore) potrebbe comportare il riconoscimento di un diritto alla disconnessione attenuato (o addirittura inesistente se il lavoratore decide, più o meno volontariamente, di non servirsene). Ma un elemento decisivo di debolezza emerge con chiarezza durante la presente fase di emergenza epidemiologica, nella quale lo smartworking può essere utilizzato (o imposto al lavoratore, secondo alcuni commentatori), senza necessità di un accordo individuale. Nella piccole e piccolissime realtà imprenditoriali, ovvero quelle non supportate da una efficace contrattazione aziendale, ciò potrebbe lasciare il lavoratore privo delle necessarie tutele (si pensi, ad esempio, agli studi professionali). Da qui l'esigenza di un urgente aggiornamento della legislazione italiana nel senso, auspicato dall'Europa, del superamento dell'accordo individuale a favore di un coinvolgimento sostanziale delle parti sociali.

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