Rapporti di lavoro

Può fare ricorso il dipendente ritenuto non idoneo perché non si è vaccinato

di Giampiero Falasca

Le Faq pubblicate l’altro ieri dal Garante privacy hanno messo in evidenza un aspetto che, nelle discussioni di queste settimane sulla gestione del dipendente che rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid, è rimasto inspiegabilmente sotto traccia: il datore di lavoro non può trattare dati sanitari degli addetti, nemmeno in caso di vaccinazione.

Il Garante non ha, tuttavia, alzato uno scudo invalicabile sul tema, ma piuttosto ha ricordato qual è l’unico soggetto che è legittimato a fare accertamenti sulla vaccinazione del dipendente: il medico aziendale competente.

Non è stato messo in dubbio che, per alcune attività specifiche, il rifiuto del vaccino possa compromettere l’idoneità del lavoratore alla mansione: tuttavia, tale giudizio deve passare attraverso il medico competente, nell’ambito della sorveglianza sanitaria che ogni azienda è tenuta ad attuare.

Questo parere può essere richiesto dal datore di lavoro - ma il medico è libero di ignorare la richiesta oppure di compiere l’accertamento – oltre ad essere svolto durante i controlli periodici. In occasione della visita, il medico esprime – in totale autonomia - un giudizio sulla compatibilità tra la mancata vaccinazione (e più in generale sulle condizioni fisiche del dipendente) rispetto alla mansione specifica cui è assegnato.

Un giudizio che analizza due ambiti - il grado di idoneità alla mansione (totale, parziale, inidoneità), la durata della limitazione (temporanea o permanente) – e che risulta vincolante per il datore di lavoro, che deve attenersi scrupolosamente alle indicazioni ricevute.

La mancata vaccinazione potrebbe essere valutata come elemento che riduce l’idoneità alla mansione applicando l’articolo 279 del Dlgs 81/2008, la norma secondo cui il datore deve «mettere a disposizione» vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente.

Se il medico dichiara inidoneo il lavoratore, occorre verificare se è possibile adibirlo a mansioni differenti. Se questa possibilità non esiste, il datore può procedere con la sospensione temporanea dal servizio e dalla retribuzione.

Il dipendente può uscire da questa situazione rimuovendo la causa che l’ha generata (accettando la vaccinazione) oppure presentando ricorso contro il giudizio del medico entro 30 giorni davanti all’organo di vigilanza territorialmente competente (ovvero la Asl del luogo in cui ha sede l’azienda), che potrà confermare, modificare o revocare il giudizio espresso dal medico.

È sbagliato, quindi, ritenere che le esigenze di privacy impediscano al datore di lavoro di adottare misure di prevenzione adeguate contro la diffusione del virus: egli può e deve adottare tutte le cautele possibili, ma non può decidere se è opportuna l’imposizione del vaccino. Questa scelta deve avvenire sotto la regia e il controllo dell’unico soggetto, il medico competente, in grado di valutare la rilevanza di tale profilassi rispetto al rischio di contagio presente sul luogo di lavoro.

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