Rapporti di lavoro

L’orientamento è il grande assente

La fuga non è mai una soluzione. Specie dai banchi o dalle aule. E i grafici qui sotto ne sono la rappresentazione plastica. A cominciare dal quel 13,5% di dispersione scolastica: 3 punti sotto la media Ue che ci valgono il quintultimo posto generale. Se aggiungiamo la seconda piazza per abbandoni universitari e la penultima posizione per numero di laureati capiamo forse meglio quel 23,4% di giovani che non studiano né lavorano e che al Mezzogiorno sono ormai un terzo dell’intera popolazione di 15-29 anni. Un’emorragia di energia, di talento, di opportunità che aspetta da anni una risposta. E che rischia di essersi perfino allargata durante la pandemia, vista la fatica con cui gli studenti di ogni ordine e grado sono dovuti passare, quasi dalla sera alla mattina, dalla didattica in presenza alle lezioni online. Complice il nostro storico digital divide - confermato dallo stesso premier Mario Draghi quando nel discorso programmatico di mercoledì scorso ha parlato di 1 milione di alunni delle superiori in grado di seguire in Dad su 1,6 milioni totali - molti altri ragazzi e ragazze si sono persi per strada dal marzo 2020 a oggi. E chi ha proseguito gli studi si trova comunque a dover fronteggiare un calo degli appredimenti che i primi studi internazionali già calcolano intorno al 30-50% per matematica e lingue.

È con questo scenario che i due neoministri dell’Istruzione e dell’Università, Patrizio Bianchi e Cristina Messa, devono fare i conti nel pianificare l’uscita dall’emergenza. Magari lavorando in sinergia perché è nei passaggi da un gradino all’altro della scala formativa che si verificano le fughe più numerose. E mettendo al centro realmente il tema dell’orientamento degli studenti. Come dimostrano i numeri recenti sulle iscrizioni in prima classe, con quasi 6 alunni su 10 che scelgono i licei e trascurano gli istituti tecnici e professionali, e quelli sulle lauree Stem (su cui si veda pagina 5), con 3 universitari su 4 che optano per altre discipline, la decisione sul “che cosa fare grande” è spesso svincolata dal ritorno occupazionale di questo o quel titolo. Il governo precedente si era ripromesso di rafforzare le politiche per orientare i ragazzi e le famiglie ma poi la crisi sanitaria ha preso il sopravvento e le risorse sono state convogliate sulla distribuzione di tablet e Pc, sull’adeguamento (dove ci si è riusciti) di spazi e arredi e sull’assunzione di docenti aggiuntivi (e temporanei). Chissà che non sia arrivato il momento di farlo davvero.

Scuola e università

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