Rapporti di lavoro

Diritto alla disconnessione senza ripercussioni sul rapporto o sullo stipendio

di Enrico Boursier Niutta

Dopo l’approvazione della Camera del disegno di legge di conversione del Dl 30 del 13 marzo 2021, in questi giorni in discussione in aula al Senato, e il cui iter dovrebbe verosimilmente concludersi entro il 12 maggio, è stato portato nuovamente alla ribalta il diritto alla disconnessione.
L’utilizzo massiccio e intensivo delle tecnologie informatiche, internet, posta elettronica, ha reso di impellente attualità l’esigenza di riportare la prestazione intellettuale in uno spazio di non lavoro, libero da vincoli di qualsiasi sorta. Non si tratta tanto e solo di realizzare un equilibrio fra lavoro e vita (work e life balance), ma anche e soprattutto di tutelare la salute del lavoratore, mantenendo integro il tempo dedicato al riposo dal rischio di essere always on, cioè sempre connessi con l’azienda.
Il legislatore francese, con la legge 1088 del 2016, ha modificato il Codice del lavoro introducendo il diritto alla disconnessione cui è obbligato il datore di lavoro se l’impresa occupa più di 50 dipendenti. Le modalità operative dell’esercizio concreto di tale diritto, che ha la funzione di garantire il godimento del riposo e di dedicarsi alla vita personale e familiare, sono rimesse al preventivo accordo sindacale. Il diritto a essere disconnessi e non raggiungibili dal datore di lavoro in alcune ore della giornata è già un corollario del diritto al riposo del lavoratore, lontano dal luogo di lavoro, ma va rafforzato con la limitazione delle possibilità fornite dalle tecnologie informatiche di invadere il tempo dedicato, per l’appunto, al riposo o alla propria vita privata. Il diritto, ovviamente, è efficace se calibrato sul tempo di non lavoro del dipendente e non sul tempo in cui l’azienda è inattiva perché chiusa o comunque non operativa.

La legge 81/2017 e le esperienze già avviate

In Italia la legge 81 del 2017 sembra codificare, sia pure solo allo stato embrionale, un diritto alla disconnessione stabilendo che l’accordo sul lavoro agile assicuri il tempo di riposo e determini le misure tecniche ed organizzative per garantire la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche. Inutile dire che, in questo contesto normativo, l’estensione del diritto dipenderà da quali misure l’accordo sarà in grado di apprestare. Le prime applicazioni hanno riguardato alcune grandi imprese che, adottando lo smart working, hanno previsto la disponibilità/contattabilità del lavoratore solo nell’ambito del normale orario di lavoro.

Ad aver fatto da apripista nella concreta sperimentazione aziendale del diritto alla disconnessione in Europa sono stati alcuni grandi gruppi tedeschi: in Volkswagen e in Bmw spengono i router mezz’ora dopo l’uscita dal lavoro e li riaccendono mezz’ora prima dell’inizio del turno, tanto che già dal 2011 la Volkswagen, al pari della Deutsche Telekom, ha previsto con accordo aziendale che nessun dipendente fosse più costretto a leggere la posta elettronica dopo aver abbandonato la scrivania. Nella Daimler è stato installato un sistema di autodistruzione delle mail ricevute dal dipendente dopo un certo orario, mentre la Price Minister prevede la sospensione della messaggistica aziendale allo scopo di favorire lo scambio verbale tra colleghi. Nel panorama italiano si segnalano le esperienze di UniCredit (nell’accordo quadro globale su diritti umani e fondamentali del lavoro è stabilito che le comunicazioni aziendali siano effettuate nel rispetto delle norme sull’orario di lavoro previste dal contratto nazionale), Findomestic (l’ultimo accordo raggiunto con i sindacati sancisce la vigenza del diritto alla disconnessione al di fuori dell’orario di lavoro). Cattolica Assicurazioni garantisce espressamente orari precisi per la disconnessione, con possibilità per il dipendente di disattivare i dispositivi utilizzati per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Analogamente in Barilla, Enel, Vodafone e Siemens la connessione alle strumentazioni tecnologiche di lavoro deve essere contestuale alle fasce orarie di prestazione lavorativa nell’arco della giornata, assicurando la disconnessione al di fuori di quell’orario. Interessante, nel settore pubblico, il caso dell’Università dell’Insubria che ha riconosciuto al personale tecnico il diritto di non rispondere a telefonate, e-mail e messaggi provenienti dall’ufficio - valido sia in senso verticale bidirezionale, verso i responsabili e viceversa, che orizzontale, cioè tra colleghi - nella fascia oraria compresa tra le 20.00 e le 7.00 del mattino successivo.

L’intervento in discussione

Nel disegno di legge in discussione è menzionato esplicitamente il diritto alla disconnessione per i lavoratori in smart working, nel rispetto però di eventuali accordi sottoscritti con le aziende e con eventuali periodi di reperibilità concordati. Ma ciò che conta è l’espressa finalizzazione del diritto alla tutela dei tempi di riposo, e quindi della salute del lavoratore, con la garanzia che il suo esercizio non abbia ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi.

Nel frattempo il Parlamento europeo, il 21 gennaio, ha approvato una Risoluzione con raccomandazioni alla Commissione Ue concernenti il diritto alla disconnessione (2019/2181(Inl), sulla base della proposta di una Direttiva portavoce della volontà dell’Ue di riconoscere il diritto in questione come diritto sociale fondamentale del lavoratore, a maggior ragione tenuto conto che, per la legislazione attuale e la giurisprudenza della Cgue, i lavoratori non hanno alcun obbligo di restare a disposizione del datore di lavoro oltre il normale orario di lavoro.

L’Ue richiede agli Stati membri di assicurare che i datori di lavoro dispongano modalità pratiche per garantire l’esercizio del diritto alla disconnessione, istituendo un sistema, oggettivo, affidabile e accessibile, che permetta la misurazione dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun dipendente, ed evitando ritorsioni datoriali per non aver il lavoratore risposto a chiamate/mail al di fuori dell’orario di lavoro. Fondamentale in ciò sarà anche l’apporto richiesto alle parti sociali. In seguito all’intervento del Parlamento europeo diventa impellente per gli Stati determinare le misure tecniche e organizzative anche rinviando, una volta predisposta una cornice minima, alla contrattazione collettiva.

Tuttavia occorre perseguire un corretto equilibrio fra tutti gli interessi in campo. Il diritto alla disconnessione va tenuto fermo, ma la sua durata non può farsi coincidere sic et simpliciter con il tempo di non lavoro, altrimenti si finirebbe col depotenziare la flessibilità che lo smart working vuole garantire innanzi tutto al lavoratore di scegliere quando lavorare. Ben potrebbe allora il diritto alla disconnessione essere garantito sostanzialmente per l’intervallo minimo che deve esistere tra una giornata lavorativa e l’altra (11 ore) o, al massimo, poco più, facendolo corrispondere con il diritto al riposo.

Ciò consentirebbe alle aziende di non incorrere in cali di produttività e inefficienze derivanti dalla eccessiva rigidità del tempo di disconnessione e, nel contempo, al lavoratore, fermi restando i tempi tecnici, organizzativi e produttivi, di gestire lo spazio temporale nell’ambito del quale rendere la prestazione, collocando liberamente le ore di lavoro nella giornata allo scopo di soddisfare, ad esempio, anche esigenze di vita familiare. E proprio in questa direzione sembra andare la previsione di tempi di reperibilità concordati di cui al disegno di legge. Nella varietà di idee, proposte e interventi normativi di diverso livello vi è una sola certezza: la strada è tracciata e, stante l’ormai irreversibile informatizzazione del lavoro, sarà percorsa a lungo.

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