Rapporti di lavoro

Buoni pasto esclusi dalla retribuzione e dall’imponibilità

Così, dopo la Cassazione, anche un recente interpello dell’agenzia dell’Entrate

di Aldo Bottini e Diego Paciello

Tra i temi più affrontati in questi mesi di smart working c’è quello dei buoni pasto e dell’inerente trattamento fiscale e contributivo.

Secondo quanto previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera c) del Tuir, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro - comprese quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi - nonché le prestazioni sostitutive delle stesse - tra cui i buoni pasto - fino all’importo complessivo giornaliero di 8 euro in caso di buoni elettronici o 4 euro in caso di buoni cartacei.

Ai fini contributivi, il decreto legge 333/1992 ha escluso i buoni pasto dalla base imponibile in quanto non considerati parte della retribuzione del lavoratore, salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente (in questo caso diventano imponibile ma solo sul piano contributivo). Anche la Cassazione, con la sentenza numero 20087 del 21 luglio 2008, ha espresso un analogo principio per quanto concerne il servizio mensa, sia esso interno o esterno all’azienda: se nulla viene previsto contrattualmente, il servizio mensa rappresenta un’agevolazione di carattere assistenziale, non un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale tra l’utilizzazione della mensa e il lavoro prestato.

Tramite l’ormai risalente risoluzione 118/E del 30 ottobre 2006, l’Amministrazione finanziaria aveva a suo tempo chiarito che il regime fiscale di favore dei servizi di mensa è collegato alla volontà del legislatore di agevolare la necessità del datore di lavoro di provvedere alle esigenze alimentari del personale durante l’orario di lavoro e, con la risposta ad interpello 123 del 22 febbraio 2021, l’agenzia delle Entrate ha ora confermato la non imponibilità, ai fini delle imposte dirette, ai sensi del citato articolo 51, del Tuir, dei buoni pasto, anche in mancanza di una specifica previsione contrattuale che li inquadri tra gli elementi della retribuzione ed indipendentemente dal fatto che la prestazione lavorativa sia svolta in presenza o in smart working.

A tale conclusione è giunta anche riconoscendo rilevanza, ai fini fiscali, all’articolo 4 del Dm 122 del 2017 che prevede - seppur per finalità diverse rispetto a quelle di determinazione del reddito imponibile - che il buono pasto possa essere corrisposto da parte del datore di lavoro in favore dei dipendenti a prescindere dal fatto che lavorino a tempo pieno o a tempo parziale e anche qualora l’articolazione dell’orario di lavoro non preveda una pausa per il pranzo.

Tali interpretazioni confermano la presa di consapevolezza che il quadro normativo vada interpretato alla luce della realtà ̀lavorativa attuale, sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili, tra le quali rientrano senza dubbio lo smartworking e il lavoro da remoto dovuto alla pandemia.

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