Rapporti di lavoro

Licenziamenti, blocco prorogato per chi accede alla Cig scontata

Stop al recesso da luglio a dicembre se l’azienda usa la cassa senza addizionale

di Giampiero Falasca

Scadenze differenziate per i licenziamenti economici: dopo l’approvazione del decreto Sostegni bis (Dl 73/2021, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 123 del 25 maggio), le date da tenere a mente sono il 1° luglio, il 1° novembre oppure il 1° gennaio 2022.

Le imprese intenzionate a ridurre il personale per motivi economici, fatta eccezione per quelle rientranti in alcuni casi particolari, potranno infatti ricadere in una di queste tre scadenze: vediamo quali sono le diverse fattispecie che si possono presentare.

La regola generale è che il divieto di licenziamento si applica fino al 30 giugno del 2021. Fino a questa data, quindi, resta precluso per tutti i datori di lavoro qualsiasi licenziamento economico e organizzativo, sia individuale, sia collettivo.

Questa regola trova importanti eccezioni per un vasto gruppo di imprese: il divieto prosegue fino al 31 ottobre 2021 per i datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività lavorativa per via del Covid e chiedono l’ammissione all’assegno ordinario Fis oppure alla cassa integrazione in deroga e quelli che richiedono la cassa integrazione per operai agricoli.

Un terzo gruppo di imprese include quelle che ricadono nella mini-proroga del divieto di licenziamento introdotta, tra molte polemiche, proprio dal decreto Sostegni bis. Secondo l’articolo 40 del Dl 73/2021, i datori di lavoro che dal 1° luglio 2021 non potranno più utilizzare gli ammortizzatori Covid (categoria che coincide con quella delle imprese per le quali viene meno, alla stessa data, il blocco dei licenziamenti), potranno accedere gratuitamente alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, con l’esonero, fino al 31 dicembre 2021, dal pagamento dei contributi addizionali (il cui costo ammonta al 9%-12%-15% della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate, a seconda della durata di utilizzo).

La scelta di usare gli ammortizzatori sociali (fruendo del relativo “sconto”) non è tuttavia senza conseguenze: per la durata dei trattamenti di integrazione salariale fruiti (entro l scadenza massima del 31 dicembre 2021) questi datori di lavoro resteranno soggetti al divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo o individuali per giustificato motivo oggettivo.

I licenziamenti già possibili

Un ultimo importante gruppo riguarda i datori di lavoro per i quali già non si applica il blocco dei licenziamenti, senza attendere il 1° luglio: si tratta di casi molto diversi tra loro. Una prima ipotesi è quella in cui un’azienda cessa un appalto e ne subentra un’altra, con l’applicazione in favore del personale della cosiddetta clausola sociale (il meccanismo, di matrice contrattuale o legale, che garantisce la riassunzione presso il soggetto che subentra).

Un’altra ipotesi in cui il divieto non si applica è quella dei licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa o dalla cessazione dell’attività senza continuazione, anche parziale, nei casi in cui non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano concretizzare un trasferimento d’azienda o di un suo ramo.

Il divieto non si applica nemmeno ai licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Se l’esercizio provvisorio è disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

L’ultimo caso in cui il divieto di licenziamento non si applica è quello dell’accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono all’accordo. Questa ipotesi non concretizza una vera e propria deroga al divieto di licenziamento, perché le persone aderiscono volontariamente alla proposta di risoluzione del rapporto. Piuttosto, si tratta di una deroga al principio per cui l’uscita consensuale non consente l’accesso alla Naspi: per chi aderisce a questa particolare forma di risoluzione del rapporto, infatti, è garantito anche il sostegno al reddito.

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