Rapporti di lavoro

Maggiori costi? Esentasse i rimborsi analitici

di Aldo Bottini e Diego Paciello

Il cambio di organizzazione insito nello smart working ha posto l’attenzione su una nuova serie di spese effettuate dal lavoratore. Già nella circolare ministeriale numero 326 del 1997 è stato previsto che possano essere esclusi da imposizione solo quei rimborsi che riguardano spese, di modico valore, di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente, e che tale principio è stato approfondito con la risoluzione numero 178/E del 9 settembre 2003, con la quale l’agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare che, se le spese sono effettuate nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, le somme ricevute a mero titolo di reintegrazione patrimoniale dal lavoratore non costituiscono un arricchimento e, di conseguenza, sono escluse dalla base imponibile.

Il concetto è stato ribadito nella risoluzione numero 357/E del 7 dicembre 2007, con la quale l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto l’esclusione da tassazione dei costi dei collegamenti telefonici sostenuti dal telelavoratore in quanto necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Più di recente, nella risoluzione numero 74/E del 20 giugno 2017, l’Agenzia ha chiarito che per ritenere non imponibile un rimborso determinato forfettariamente è necessario che vi sia una norma di legge che stabilisca i criteri oggettivi di determinazione della quota escludibile, in quanto configurabile come spesa sostenuta dal lavoratore nell’interesse del datore. Da ultimo, l’Amministrazione finanziaria, con le recenti risposte ad interpello numero 314 del 30 aprile 2021 e numero 328 dell’11 maggio 2021, ha confermato che le erogazioni volte ad indennizzare i dipendenti per i maggiori costi sostenuti durante lo svolgimento dell’attività lavorativa in smart working, qualora basate su criteri forfettari e non oggettivi ed analitici, configurano redditi di lavoro dipendente.

Tuttavia, nella citata risposta numero 314, l’agenzia delle Entrate ha anche manifestato un’importante apertura interpretativa nei confronti di tutti i rimborsi spese individuati sulla base di elementi oggettivi e documentalmente accertabili, confermando la non imponibilità delle spese rimborsate al dipendente – nello specifico, energia elettrica, acqua, materiale di consumo e un’ora di riscaldamento al giorno in relazione alle medesime voci di spesa - necessarie allo svolgimento della prestazione lavorativa e che costituiscono un risparmio per l’azienda.

Quindi, in attesa di un eventuale intervento da parte del Legislatore che, con apposita norma, stabilisca i parametri oggettivi da utilizzare per determinare la quota rimborsabile ai dipendenti per i maggiori costi sostenuti in conseguenza dello svolgimento della propria attività lavorativa da remoto, l’unica soluzione adottabile per escludere dalla base imponibile i rimborsi spese è quindi quella di adottare un sistema di calcolo analitico, seppur con le difficoltà operative che ciò può comportare, riconoscendo eventualmente, nel frattempo, al posto di rimborsi, buoni spesa utili per l’acquisto diretto, da parte dei lavoratori, di complementi d’arredo o per il pagamento delle utenze domestiche, sfruttando l’incremento del limite di non imponibilità annuo dei beni e servizi erogati ai dipendenti - da euro 258,23 ad euro 516,46 - che è stato previsto, per il solo 2021, dal nuovo articolo 6-quinquies del Dl 41/2021.

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