Rapporti di lavoro

Smart working, per le spese sostenute dal lavoratore solo contributi volontari

Le norme non prevedono alcuna forma di rimborso per i costi da lavoro agile

di Aldo Bottini e Diego Paciello

Il massiccio ricorso al lavoro agile durante la pandemia ha sollecitato lavoratori e sindacato a sollevare il tema del riconoscimento ai dipendenti in smart working di un ristoro per le maggiori spese eventualmente sostenute per il proprio collegamento internet e per le utenze casalinghe, nonché per la predisposizione di una postazione di lavoro all’interno dell’abitazione, con apposite dotazioni e complementi d’arredo. È stato altresì ripreso su larga scala un tema mai sopito, quello del diritto al buono pasto per le giornate di lavoro fuori dai locali aziendali.

Quanto alla prima questione, va anzitutto ricordato che la legge attualmente non prevede, in via generale, alcuna forma di rimborso a favore del lavoratore agile per gli eventuali maggiori costi personali connessi alla prestazione da remoto o per la predisposizione di una postazione di lavoro. La ragione è abbastanza evidente, se si considera che, al di fuori del periodo di emergenza pandemica, l’adesione alla modalità agile di lavoro è volontaria e soprattutto che la scelta del luogo da cui svolgere la prestazione è, salva diversa disposizione contrattuale, rimessa alla libera scelta del lavoratore, il quale, a differenza che nel caso del telelavoro, esegue la prestazione lavorativa senza una postazione fissa.

La contrattazione

Tuttavia, anche per venire incontro alle esigenze di chi, nel periodo pandemico, è stato “forzatamente” collocato in smart working, alcuni accordi collettivi aziendali hanno previsto forme di contributi economici finalizzati a coprire i costi derivanti dalle utenze e dalla connettività ovvero dalla necessità di acquisto di particolare strumentazione (monitor, sedie ergonomiche, ecc.). Ferma l’inesistenza di un obbligo giuridico, si tratta di previsioni rimesse alla libera contrattazione delle parti, nell’ambito della quale - soprattutto nell’ottica di un superamento della fase emergenziale che stiamo vivendo e della conseguente implementazione, a livello aziendale, di politiche “stabili” di smart working che ne valorizzino la vera natura e le peculiari caratteristiche - potrebbe essere ragionevole tenere in considerazione anche gli indubbi vantaggi di cui i dipendenti in smart working possono beneficiare, come, ad esempio, i possibili risparmi, oltre che in termini monetari, considerando l’eventuale riduzione dei costi di trasporto per il tragitto casa-lavoro, anche in termini di tempo e di una miglior conciliazione vita-lavoro.

   Naturalmente, oltre che aver cura di non porre in essere azioni che possano portare a ricondurre lo smart working alla differente ipotesi del telelavoro, con i conseguenti profili di responsabilità circa la sicurezza della postazione (si veda anche il sole 24 Ore del 31 maggio) andranno altresì adeguatamente considerati, per una compiuta valutazione dei costi, anche i profili fiscali e contributivi delle eventuali erogazioni aziendali (si vedano gli altri servizi in pagina).

Per quel che riguarda invece la controversa questione del buono pasto, sinora l’unica sentenza che se ne è occupata ha negato il diritto del lavoratore ad ottenerlo nelle giornate di lavoro da remoto (Tribunale di Venezia, decreto 8 luglio 2020 numero 3463). La questione era stata sollevata (anche) con riferimento al principio, affermato dalla Legge 81/2017, istitutiva dello smart working, secondo cui il lavoratore che opera in modalità agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello del lavoratore che svolge la medesima mansione esclusivamente in azienda (articolo 20, primo comma).

Il quadro normativo

Il Tribunale di Venezia, richiamando una pronuncia della Cassazione che ha escluso la natura di elemento della retribuzione del buono pasto, definito una «agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale» (Cassazione 29 novembre 2019 numero 31137), ha escluso che il buono pasto potesse rientrare nella nozione di trattamento economico e normativo. Con la conseguenza che la sua mancata corresponsione nelle giornate di lavoro da remoto non è stata ritenuta dal Tribunale una violazione del principio di parità di trattamento del lavoratore agile.

Naturalmente, affrontando un caso specifico, occorrerà pur sempre verificare che la mancata corresponsione sia compatibile con la fonte istitutiva del buono pasto. E comunque, l’assenza di un obbligo non implica che non sia possibile, per accordo contrattuale (collettivo o individuale) o per disposizione unilaterale, riconoscere al lavoro agile il buono pasto (con la correlata disciplina fiscale e contributiva di favore, come ha recentemente affermato l’agenzia delle Entrate) anche per le giornate di lavoro in smart working. Anche questa, quindi, può essere materia di contrattazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©