Rapporti di lavoro

La richiesta Ue: serve più trasparenza sugli stipendi

La Commissione europea ha proposto una direttiva con diverse soluzioni

di Giulia Bifano e Massimiliano Biolchini

Il diritto di donne e uomini europei a percepire una pari retribuzione per svolgere uno stesso lavoro o di un lavoro di pari valore affonda le proprie radici nel Trattato di Roma del 1957, che ha elevato la parità retributiva di genere a principio fondante dell’Unione. Negli anni la Ue ha adottato diverse misure per dare attuazione a questo principio, tra cui un’importante direttiva del 2006 e una raccomandazione del 2014, che hanno affermato la necessità di eliminare qualunque forma di discriminazione retributiva diretta e indiretta basata sul genere. Ciò mediante l’istituzione di organismi incaricati di monitorare e assicurare la parità, e con il diritto della vittima a vedersi risarcito il danno. Ciononostante, le donne europee guadagnano in media il 14,1% in meno dei loro colleghi. Questo dato, che misura la differenza tra i salari orari medi, peggiora se si guarda al divario retributivo complessivo di genere, includendo nell’analisi anche la media mensile di ore effettivamente retribuite e del tasso di occupazione reale. Mettendo insieme tutti questi fattori, il divario retributivo di genere arriva a una media del 36,7% in ambito Ue, con l’Italia - capofila in fatto di divario occupazionale - al 43 per cento.

Come annunciato nella propria strategia 2020-2025, la Commissione Ue ha dunque presentato il 4 marzo una proposta di direttiva per rafforzare la parità retributiva di genere, con una maggiore trasparenza e un migliore accesso alla giustizia. Per la Ue, infatti, è proprio la mancanza di trasparenza uno dei fattori frenanti della parità: senza un’adeguata informazione, i lavoratori non sono in grado di riconoscere e contrastare adeguatamente la discriminazione.

Quando la direttiva sarà approvata e recepita dagli Stati Ue, le imprese dovranno informare i candidati sul livello retributivo della posizione aperta, con il divieto di chiedere informazioni sulle precedenti retribuzioni. I lavoratori avranno il diritto di chiedere ai datori informazioni sui livelli salariali medi ripartiti per genere, e le imprese, oltre a informare annualmente la popolazione aziendale su tale diritto, dovranno fornire riscontro alle richieste in tempi ragionevoli e nel rispetto delle norme sulla privacy. Per le aziende di grandi dimensioni (da 250 dipendenti) scatterà anche l’obbligo di rendere pubbliche le informazioni sul divario retributivo, e di effettuare periodicamente una valutazione dei salari in collaborazione con le rappresentanze sindacali, elaborando interventi correttivi quando il divario sia pari o superiore al 5% e non sia giustificabile in base a fattori oggettivi. La violazione di questi obblighi di trasparenza comporterà, in caso di azioni risarcitorie, un onere di provare l’inesistenza della discriminazione interamente a carico del datore di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di elementi idonei a farla presumere. Gli Stati dovranno adottare un sistema sanzionatorio efficace: tra le misure di possibile introduzione, anche la revoca di erogazioni pubbliche e l’esclusione dalle gare d’appalto pubbliche.

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