Rapporti di lavoro

Licenziamenti, per il divieto test fra regole ed eccezioni

di Aldo Bottini

Alla fine, la fatidica data del 30 giugno ha portato a uno sblocco parziale dei licenziamenti o, se si preferisce, a un blocco a macchia di leopardo. Proviamo a riassumere la situazione dopo i decreti legge 41/2021 (Sostegni), 73/2021 (Sostegni-bis) e, soprattutto, dopo il Dl 99/2021.

Decreto Sostegni

Rispetto al blocco generalizzato già in essere tanto per i licenziamenti collettivi quanto per quelli individuali per giustificato motivo oggettivo (indipendentemente dal numero dei dipendenti), il Dl 41/2021, nello scorso mese di marzo, ha introdotto una bipartizione fondata sulla tipologia di ammortizzatore sociale disponibile per l’azienda. Per le imprese rientranti nel campo di applicazione della Cigo (articolo 10 del Dlgs 148/2015), la data di cessazione del blocco è stata fissata al 30 giugno 2021. Per tutti gli altri datori di lavoro è stato previsto il mantenimento del divieto di licenziamento fino al 31 ottobre 2021.

Un blocco dunque differenziato che, sino alle date previste, prescinde dall’effettivo utilizzo degli ammortizzatori sociali concessi dal medesimo decreto a entrambe le categorie di imprese; la soluzione, sia pur discutibile quanto a opportunità e legittimità costituzionale, era però tutto sommato di facile applicazione.

Sostegni-bis

Con l’approssimarsi della scadenza del 30 giugno, sono state progressivamente introdotte eccezioni varie al venir meno del divieto di licenziamento. Con riferimento alle imprese che hanno accesso alla Cigo, e pagano quindi il relativo contributo, già il Dl 73/2021 ha introdotto due eccezioni allo sblocco previsto per il 1° luglio 2021. La prima riguarda le imprese che ricorrono alla Cigo o alla Cigs per il periodo dal 1° luglio al 31 dicembre 2021. In questo caso, i licenziamenti, tanto individuali quanto collettivi, sono preclusi anche successivamente al 30 giugno, ma solo per il periodo di effettiva fruizione dell’ammortizzatore, per il quale non si richiede il versamento di alcun contributo addizionale. La lettera della legge fa ritenere che il divieto di licenziamento si estenda, però, all’intera azienda, anche in caso di utilizzo della cassa integrazione solo in alcune unità produttive.

Una seconda eccezione riguarda le imprese che, avendo subito nel primo semestre del 2021 un calo di fatturato del 50% rispetto al primo semestre del 2019, ricorrono al contratto di solidarietà difensivo, al quale si può accedere, in virtù della stessa norma, per 26 settimane nel periodo 26 maggio-31 dicembre 2021, senza versamento del contributo addizionale. In questo caso, è la dichiarata finalità dello strumento («mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica») a far ritenere che siano preclusi i licenziamenti per tutta la durata dell’accordo di solidarietà.

Un’eccezione è stata introdotta anche per le imprese dei settori turismo, stabilimenti termali e commercio che richiedano l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, fruibile entro il 31 dicembre 2021, nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021. Per queste aziende, già “bloccate” in via generale sino al 31 ottobre, il divieto si estendefino al 31 dicembre 2021 in caso di richiesta dell’esonero.

Ultimo intervento

Il Dl 99/2021 del 30 giugno, emanato “in zona Cesarini” sotto una crescente pressione politica e sindacale, ha in via generale mantenuto la fine del blocco alle date già previste (30 giugno per imprese in area Cigo e 31 ottobre per tutte le altre), aggiungendo però a quelle già esistenti due ulteriori eccezioni. La prima riguarda le industrie tessili, di abbigliamento e di pelletteria, identificate con i codici Ateco 13, 14 e 15, alle quali è data la possibilità di richiedere ulteriori 17 settimane di Cigo Covid, da fruire nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2021. A queste aziende restano preclusi i licenziamenti, sia collettivi che individuali per giustificato motivo oggettivo, sino al 31 ottobre 2021. E ciò a prescindere, stando alla lettera della legge, dall’effettivo utilizzo dell’ammortizzatore.

La seconda eccezione riguarda le imprese che abbiano esaurito gli ammortizzatori sociali previsti dal Dlgs 148/2015 e che richiedano, anche per fronteggiare situazioni di particolare difficoltà economica presentate al Mise, ulteriori 13 settimane di trattamento straordinario di integrazione salariale, fruibili sino al 31 dicembre 2021. Per queste ultime il blocco vige per il periodo di effettiva fruizione dell’ammortizzatore, e si estende all’intera azienda anche se la cassa viene usata solo per una parte di essa.

Una situazione frastagliata quindi, alla quale si aggiunge, per completare il quadro, una sorta di moral suasion contenuta nell’avviso comune del 29 giugno 2021 con il quale le parti sociali (Confindustria, Confcooperative, Cna e Confapi da una parte e Cgil-Cisl-Uil dall’altra) si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in alternativa ai licenziamenti.

Sono rimaste nel frattempo inalterate tutte le deroghe generali al blocco dei licenziamenti, inserite nei decreti che si sono succeduti da quasi un anno a questa parte. I casi che sfuggono al divieto sono, come è ormai noto, quelli del personale coinvolto in un cambio di appalto al quale si applichi una “clausola sociale”, i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa (con o senza liquidazione della società), i licenziamenti per fallimento (quando non sia disposto l’esercizio provvisorio dell'impresa), e soprattutto le risoluzioni del rapporto di lavoro incentivate nell’ambito di accordi collettivi aziendali, con riconoscimento della Naspi, che hanno costituito, in pendenza del blocco, un’importante valvola di almeno parziale flessibilità.

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