Rapporti di lavoro

Sul green pass in azienda la decisione tocca al Governo

di Cristina Casadei e Matteo Prioschi

Il Dl 105/2021, ha introdotto l’obbligatorietà del green pass per l’accesso a determinati servizi e attività. Tuttavia tale requisito vale per i fruitori-clienti ma non per chi è impiegato in tali attività. Quindi, per esempio, chi vuole pranzare in un ristorante al chiuso dovrà esibire il certificato, mentre il personale impiegato nel locale vi potrà lavorare senza green pass. Però, se un dipendente del ristorante, fuori dall’orario di lavoro, vi volesse pranzare con famiglia o amici, in quanto cliente dovrebbe presentarsi con il certificato.

Vi sono poi dubbi di applicazione della norma per quanto riguarda, ad esempio, le mense nei luoghi di lavoro. Il decreto legge impone il green pass per i servizi di ristorazione, in cui rientra anche quella collettiva. Si pone il dubbio se il dipendente che si reca alla mensa aziendale interna sia esonerato o meno dal green pass e cosa succeda nel caso in cui la mensa sia aperta a lavoratori di altre imprese.

Finora l’obbligo di vaccinazione, che è più specifico del green pass in quanto quest’ultimo si ottiene, seppur a durata ridotta, anche con un tampone negativo, è previsto solo per gli operatori del settore sanitario. A questo riguardo sono già emersi contenziosi tra datori di lavoro e aziende. Le prime decisioni prese da alcuni tribunali sottolineano la responsabilità del datore di lavoro di tutelare salute e sicurezza di tutti i dipendenti e delle persone che accedono ai locali aziendali e quindi la legittimità di provvedimenti (anche precedenti all’obbligo vaccinale) di messa in ferie forzate o di sospensione senza retribuzione per i dipendenti che non si vaccinano.

I rientri in sicurezza

In tutte le aziende il tema vaccinazione, e quindi salute e sicurezza, è in cima all’agenda dei responsabili delle risorse umane, soprattutto adesso che si valuta l’ipotesi del lavoro in presenza per settembre. All’Enel, gruppo con oltre 65mila addetti, per esempio, si ragiona sul rientro progressivo dei dipendenti negli uffici, dalla seconda metà di settembre, in base all’evoluzione della pandemia e ai risultati della campagna vaccinale, secondo un nuovo modello di lavoro che prevederà, anche a regime, un ampio ricorso allo smart working. Dall’azienda spiegano che tutto si sta definendo, «in un percorso di ascolto e confronto con i dipendenti e di concerto con le associazioni sindacali, l’organizzazione delle attività in presenza che garantisca prioritariamente la tutela della salute dei dipendenti. Le modalità di rientro, attualmente in via di definizione, saranno stabilite nel pieno rispetto di quanto disporranno le legislazioni nazionali di riferimento».

Il nodo privacy

Nei fatti i capi azienda sono costretti a muoversi con molta cautela, innanzitutto per la privacy. Da una grande società della distribuzione moderna e organizzata spiegano che per la privacy sono tenuti non solo a non sapere il nome ma nemmeno il numero dei lavoratori vaccinati. L’informazione potrebbe essere nella disponibilità del medico aziendale, per proteggere i lavoratori fragili, ma il professionista non è tenuto a comunicarla all’azienda. Il risultato è che manager e imprenditori sono ancora alle prese con la questione dei vaccini in una fase di ripartenza produttiva su cui incombe la quarta ondata pandemica. Alla Sterilgarda, l’azienda lattiero casearia del mantovano che ha oltre 300 addetti e un indotto di 600, stanno discutendo sulle misure da prendere per «tutelare la salute di chi lavora e di salvaguardare anche la “salute” dell’azienda, alla quale deve essere data la possibilità di continuare la sua attività», spiegano. Per trovare una soluzione condivisa, il 9 agosto è prevista una tavola rotonda a cui parteciperanno la proprietà, i sindacati e il medico del lavoro: sarà proprio in questa sede che verrà discussa l’introduzione del green pass come requisito per entrare in azienda. L’auspicio è però che «il Governo e Confindustria forniscano al più presto alle imprese regole chiare da seguire sull’inserimento del green pass come condizione per accedere al luogo di lavoro».

Tema governativo

Un orientamento espresso anche da Tim dove in questa fase, per tutte le attività per le quali è possibile, si sta lavorando da remoto, con alcuni rientri. Sulla questione della vaccinazione spiegano che «è su base volontaria, quindi come azienda, non può essere imposta». In questa fase il lavoro da remoto massiccio consente di mantenere la distanza fisica, ma dal 13 settembre Tim, che ha 40mila addetti, riaprirà le sedi e, sempre su base volontaria, si potrà andare in ufficio un giorno a settimana. A quel punto le presenze saranno diverse rispetto ad oggi, ma dall’azienda tagliano corto e dicono che «il tema dell’obbligatorietà del green pass per entrare in ufficio è un tema governativo e anche solo la richiesta di informazioni da parte del datore di lavoro non sarebbe coerente con le attuali indicazioni del Garante della Privacy». Da Poste spiegano che si allineeranno alla normativa che verrà.

Il caso Google

Guardando oltreconfine e cercando di capire come si stanno muovendo le multinazionali, è diventato un caso la lettera che nei giorni scorsi il ceo di Google, Sundar Pichai, ha scritto ai lavoratori per dire che «chiunque venga a lavorare nei nostri campus dovrà essere vaccinato». Come questo orientamento si declinerà nella pratica e incrocerà le regole dei diversi Stati «varierà in base alle condizioni e ai regolamenti locali», ha spiegato il manager. In Italia, per esempio, non è ancora arrivata alcuna altra indicazione al di là della lettera che Pichai ha scritto a tutti i lavoratori in tutto il mondo. Ma c’è ancora tempo, visto che la politica globale volontaria per il lavoro da casa, in Google, è estesa fino al 18 ottobre.

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