Rapporti di lavoro

Il lavoro agile prepara l’addio all’emergenza: svolta in tre test

I temi chiave sono controlli da remoto, reperibilità e disconnessione. Nella Ue conta la privacy, meno in Cina, Russia e Brasile

di Aldo Bottini, Valentina Melis e Ornella Patané

Controlli a distanza dei lavoratori, fasce di reperibilità, diritto alla disconnessione dagli strumenti informatici. Sono tre punti cardine emersi durante la sperimentazione globale dell’home working dovuta alla pandemia di Covid-19. Ma anche i tre nodi degli accordi che le aziende stanno mettendo a punto per disegnare il lavoro “ibrido” dei prossimi mesi, composto in molti casi da un mix tra lavoro in ufficio e lavoro da remoto.

Il mix potrebbe essere fortemente ribilanciato per i dipendenti della Pubblica amministrazione a favore del lavoro in presenza, se - come prospettato dal ministro Renato Brunetta - il rientro negli uffici sarà organizzato prima del 31 dicembre, data di scadenza dello stato di emergenza sanitaria e del regime semplificato dello smart working (cioè senza accordi individuali), sia per il pubblico, sia per il privato (si veda l’analisi a pagina 29).

Le strade percorse dai Paesi
La globalizzazione del virus Covid-19 ha fatto sorgere problemi globali: ovunque, infatti, la pandemia ha forzato tutti a lavorare da remoto, mettendo alla prova le organizzazioni aziendali e le norme locali relative al rapporto di lavoro “tradizionale”. Tutti i datori si sono dovuti, quindi, confrontare con gli stessi problemi di gestione dei lavoratori a distanza.

Tra questi, come emerge da un’indagine condotta all’interno di Ius laboris, alleanza globale di studi specializzati in diritto del lavoro, c’è il controllo a distanza dei dipendenti. In nessun Paese è stata introdotta una legislazione ad hoc per la pandemia e in quasi tutti l’esercizio del potere di controllo è di norma subordinato a una informativa dei dipendenti e al rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali.

In Francia, il Governo insieme al Garante della privacy locale ha pubblicato linee guida per chiarire che l’esercizio del potere di controllo non cambia in caso di lavoro da remoto, con ciò precisando che in tali circostanze è da escludere che il controllo possa essere svolto in maniera pedissequa e costante e che telefonate o video call possano comportare un’eccessiva e invadente sorveglianza.

In Germania, durante la pandemia, sono cambiati gli strumenti tramite i quali esercitare il potere di controllo (strumenti digitali di monitoraggio di email e chat o keyloggers, non sempre ritenuti legittimi) ma non le regole.

La relativa uniformità di regole sui controlli nei Paesi europei si spiega ovviamente con la disciplina comune dettata dalle direttive e dai regolamenti comunitari, primo tra questi ultimi il Gdpr, sulla protezione dei dati personali. Nei Paesi extra europei talvolta la sensibilità su questi temi è diversa. In Cina, ad esempio, è possibile installare lecitamente sistemi di controllo della prestazione lavorativa negli strumenti digitali assegnati ai dipendenti, con l’unico limite del rispetto della disciplina locale sulla protezione dei dati personali.

Allo stesso modo, in Russia, è considerato vietato il controllo fisico presso le abitazioni dei dipendenti, ma consentiti tutti gli strumenti di controllo a distanza, a condizione di avere preventivamente informato i dipendenti e avere ricevuto il loro consenso.

Il diritto alla disconnessione
Un ulteriore tema affrontato durante la pandemia è il diritto alla disconnessione, con lo speculare obbligo di reperibilità del lavoratore: dopo la risoluzione del Parlamento Europeo del 21 gennaio 2021, in ambito Ue è sempre più sentita la necessità di adottare misure di sensibilizzazione e formazione sui luoghi di lavoro per prevenire i rischi legati a quella che il Parlamento Europeo ha definito «cultura del sempre connesso».

La necessità di assicurare questo diritto in caso di lavoro da remoto, sorge proprio in quei Paesi, inclusa l’Italia, in cui il dipendente che lavora in smart working può gestire autonomamente il tempo di lavoro, non essendo vincolato a rispettare i normali orari di lavoro, ma potendo, per accordo individuale, essere tenuto a rispettare determinati periodi di reperibilità. Dopo la risoluzione europea, l’Italia, prima fra gli altri, ha rafforzato in maniera significativa, con il Dl 30/2021, il diritto alla disconnessione, già presente nella legge sul lavoro agile (la 81/2017). Oggi tale diritto è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile «nel rispetto degli accordi individuali e degli eventuali periodi di reperibilità in essi stabiliti». È espressamente previsto che l’esercizio del diritto alla disconnessione non possa avere per il lavoratore rispercussioni negative.

Nei Paesi (come Cina, Giappone e Argentina) in cui è previsto che anche da remoto si osservi il normale orario di lavoro, periodo nel quale il dipendente deve rimanere connesso e operativo, la disconnessione è possibile solo dopo la fine dell’orario di lavoro.

Intanto, gli accordi aziendali cominciano a tracciare una serie di comportamenti pratici, perché sia garantito il diritto alla disconnessione: l’intesa siglata dal gruppo Generali con i sindacati il 27 luglio per il post emergenza prevede che la pianificazione delle riunioni o video conference avvenga di norma dalle 9 alle 18, fatto salvo l’intervallo dalle 13 alle 14. Si raccomanda ai lavoratori l’uso dell’opzione di ritardata consegna se si inviano comunicazioni con sistemi informatici aziendali fuori dall’orario di lavoro. Infine, l’accordo precisa che la ricezione di comunicazioni aziendali fuori dall’orario di lavoro e nei momenti legittimi di assenza non vincola i lavoratori ad attivarsi prima della ripresa dell’attività.

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