Rapporti di lavoro

Al patto di non concorrenza serve un compenso adatto

di Daniele Colombo

Perimetro dell’attività, durata, luogo, compenso e forma scritta. Sono gli elementi essenziali di un patto di non concorrenza legittimo: un accordo che obbliga il lavoratore a non svolgere, dopo la cessazione del contratto di lavoro, un’attività in concorrenza con quella dell’azienda presso la quale è stato impiegato.

Peraltro, la Cassazione ha confermato recentemente che adempiere agli oneri previsti dal patto di non concorrenza è un vincolo preciso anche per il datore di lavoro alla fine del rapporto: la clausola del patto in cui sia eventualmente previsto che il datore si riserva di decidere alla risoluzione del rapporto se avvalersi delle limitazioni che derivano dal patto stesso è sempre nulla e comporta, in ogni caso, il diritto al compenso previsto per il lavoratore (ordinanza 23723/2021 pubblicata il 1° settembre, si veda Il Sole 24 Ore dell’8 settembre).

Il patto di non concorrenza è disciplinato dall’articolo 2125 del Codice Civile: l’accordo tra datore e lavoratore richiede una serie di requisiti in assenza dei quali è invalido.

Innanzi tutto, l’obbligo di non concorrenza, deve essere contenuto, a pena di nullità, in un atto scritto. Bisogna poi pattuire un corrispettivo a favore del lavoratore di ammontare proporzionato al “sacrificio” richiesto in seguito alla cessazione del contratto di lavoro. Il vincolo deve essere contenuto entro determinati limiti di oggetto (l’attività vietata deve essere individuata nel patto), di tempo (è necessario indicare il periodo di vigenza dell’obbligo di non concorrenza) e di luogo (bisognerà definire i confini territoriali del patto).

La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti e a tre anni per gli altri lavoratori. Se le parti estendono il patto oltre i limiti definiti dalla normativa in vigore, la durata prevista contrattualmente sarà automaticamente ridotta entro il tetto massimo fissato dalla legge. Il patto può essere stipulato sia contestualmente all’assunzione, sia in costanza di rapporto.

La linea dettata dai giudici

Per la validità del patto, secondo la Cassazione occorre osservare i seguenti criteri:

- il patto non deve limitarsi a indicare le mansioni svolte dal lavoratore nel rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività del datore di lavoro, da identificare in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque idonei a soddisfare le esigenze della clientela dello stesso mercato;

- non deve essere di ampiezza tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale;

- sul corrispettivo, il patto non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato (Cassazione, ordinanza 23418 del 25 agosto 2021).

La Cassazione ha ritenuto, ad esempio, valido il patto con il quale il dipendente di un istituto di credito, assunto come private banker, si era impegnato a non operare per un periodo di tre anni nel solo settore del private banking, limitatamente ai prodotti già trattati con la clientela dell’istituto, nell’ambito di una sola Regione e dietro un corrispettivo di 7.500 euro annui (ordinanza 9790 del 26 maggio 2020).

Sul compenso dovuto, in generale la giurisprudenza della Cassazione afferma che la nullità non è ravvisabile per indeterminatezza del corrispettivo, solo in ragione dell’assenza di un importo minimo garantito in caso di risoluzione anticipata del rapporto (ordinanza 5540 del 1° marzo 2021). Alcune pronunce di merito hanno invece affermato l’invalidità del patto di non concorrenza apposto a un contratto di lavoro a tempo indeterminato che preveda un compenso corrisposto mensilmente, ma non determinato nel suo ammontare complessivo (Corte d’Appello di Milano, 29 marzo 2021 n. 1086; Tribunale di Milano, 26 maggio 2021 n. 1189). La congruità è da valutare caso per caso.

Leggi quando il patto di concorrenza è legittimo e quando no

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