Rapporti di lavoro

L’Unione prova a cambiare passo sulla parità retributiva di genere

di Anna Zilli

Nel lavoro “sapere è potere” e per comparare i trattamenti è necessario utilizzare uno strumento efficace nella lotta alle disuguaglianze: la trasparenza salariale, cioè la conoscibilità dei trattamenti retributivi effettivamente corrisposti nel contesto di lavoro, rappresenta un’interessante chiave per accedere alle informazioni necessarie. Che l'abbattimento delle asimmetrie informative costituisca uno snodo fondamentale per le pari opportunità nei rapporti di lavoro, non è una novità: la trasparenza salariale, a qualunque livello ci si posizioni, rappresenta dunque una condizione necessaria per combattere le disuguaglianze.

Nella consapevolezza che difficilmente i Paesi europei avrebbero intrapreso percorsi ulteriori rispetto a quelli accolti con la Risoluzione del 26 febbraio 2014 (Risoluzione su sfruttamento sessuale e prostituzione, e sulle loro conseguenze per la parità di genere), la promozione della trasparenza salariale a livello Ue è stata affidata alla Proposta di direttiva 2021/93 del Parlamento e del Consiglio «per rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi».Tra pochi giorni, il 6 ottobre, si chiuderà la fase delle consultazioni sulla proposta.

Retribuzione e applicazione

In primo luogo, la direttiva tenta di chiarire cosa si intenda per «lavoro di pari valore», chiedendo che il confronto tra posti e retribuzioni avvenga secondo oggettivi e neutri, quali istruzione, requisiti professionali e di formazione, competenze, impegno e responsabilità, il lavoro svolto e la natura delle mansioni da svolgere. La proposta non impedisce ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, ma si chiede che tali differenze siano giustificate al di là del genere e dei pregiudizi. Questo consentirebbe, a livello nazionale, di agevolare la prova della discriminazione, superando anche l'orientamento giurisprudenziale che ha sinora consentito erogazioni e premi differenziati discrezionalmente.

La proposta compone un concetto ampio di retribuzione, che comprende non solo la retribuzione-base, ma anche le componenti accessorie, in denaro o in natura, che i lavoratori ricevono direttamente o indirettamente dal datore di lavoro. Il riferimento è a gratifiche, indennità per straordinari, servizi di trasporto (comprese le autovetture fornite dal datore di lavoro e gli abbonamenti), indennità di alloggio, indennità per la partecipazione a corsi di formazione, somme erogate in caso di licenziamento, maggiorazioni per straordinari, una tantum discrezionali, indennità di malattia previste per legge, indennità obbligatorie per legge e trattamenti pensionistici complementari.

Relativamente all'ambito di applicazione, la proposta riguarda tutti i lavoratori, compresi i lavoratori a tempo parziale, a tempo determinato e tramite agenzia. I lavoratori domestici, a chiamata, occasionali e impiegati tramite piattaforma digitale, nonché i tirocinanti e gli apprendisti, rientrano nell'ambito di applicazione della proposta di direttiva, a condizione che soddisfino i criteri stabiliti dalla Corte di giustizia per individuare chi sia un lavoratore.

Dal lato dei datori, la direttiva comprende sia il settore pubblico che quello privato, prevedendo che, sin dall'offerta di lavoro, essi dovranno essere trasparenti, offrendo ai candidati informazioni obiettive sulla retribuzione collegata alla posizione offerta, da comunicare attraverso un'offerta pubblica, oppure in occasione delle selezioni. Altresì, ai datori di lavoro sarà vietato indagare sulle precedenti condizioni stipendiali del/la candidato/a.

Contenzioso e sanzioni

Quanto ai profili processuali, la proposta stabilisce che, qualora il datore di lavoro non abbia rispettato i propri obblighi di trasparenza, chi si ritenga discriminato/a non dovrà nemmeno presentare le prove della discriminazione, perché spetterà al datore di lavoro dimostrare l'assenza di discriminazione.

Poiché notoriamente i costi del contenzioso costituiscono un ostacolo procedurale che crea un grave disincentivo per le vittime di discriminazione retributiva di genere a rivendicare il diritto alla parità di retribuzione, al fine di garantire un maggiore accesso alla giustizia e per incentivare i lavoratori a far valere i propri diritti, nell'ipotesi in cui i lavoratori siano soccombenti le spese devono essere compensate, a meno che la causa non sia stata intentata in malafede, per motivi pretestuosi o nei casi in cui il mancato recupero sia considerato irragionevole in relazione al caso concreto.

Gli Stati membri dovranno poi approntare meccanismi sanzionatori effettivi, proporzionati e dissuasivi, che tengano conto della gravità e della durata dell'infrazione, di qualsiasi intenzione o negligenza grave da parte del datore o di qualsiasi altra circostanza del caso.

Altresì, i soggetti discriminati avranno diritto al pieno risarcimento per ogni pregiudizio patito, comprese la perdita di chances e i danni alla persona che lavora: su di essi il legislatore dovrà esprimersi «evitando di prevede un tetto per i risarcimenti ma anche di perpetuare le discrezionalità connesse alla assai spinosa questione, relativa all'esercizio del potere equitativo del giudice quando si tratta di lesioni alla personalità morale del prestatore».

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