Rapporti di lavoro

Orari, luoghi di lavoro, tutele anti hacker: il nuovo smart working esige più controlli

Il 16% dei direttori del personale ha riscontrato abusi nell’utilizzo della modalità da remoto

di Valentina Maglione e Valentina Melis

Nel mondo post emergenza lo smart working è destinato a restare una presenza fissa, tanto da imporsi come una modalità “normale” di lavoro. Proprio per questo gli Hr manager chiedono regole e controlli: non solo per monitorare il lavoro dei dipendenti da remoto, ma anche per mettere al sicuro i dati aziendali dagli attacchi hacker. È questo il quadro che emerge dall’indagine condotta dall’associazione Gidp (gruppo intersettoriale direttori del personale) e dalla società investigativa Abbrevia Spa su smart working, assenteismo ed Hr management, che sarà presentata in un webinar mercoledì 10 novembre (iscrizioni sui siti Abbrevia e Gidp).

Lo scenario

Le previsioni dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano parlano di 4,38 milioni di lavoratori che in futuro continueranno a lavorare in parte in presenza e in parte da remoto: 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle Pmi, 970mila nelle microimprese e 680mila nella Pa (si veda Il Sole 24 Ore del 3 novembre).

La possibilità o meno di svolgere la prestazione lavorativa anche in modalità agile entrerà con ogni probabilità tra le richieste o aspettative dei lavoratori, e potrebbe diventare un fattore rilevante anche per chi valuta un nuovo impiego.

Il caso Unipol, con le proteste sindacali suscitate dalla decisione dell’azienda di far rientrare i dipendenti in presenza nelle sedi, dimostra quanto il tema possa diventare sensibile anche a livello di relazioni interne.

I direttori del personale

In questo quadro, dall’indagine di Gidp e Abbrevia - condotta tra settembre e ottobre su un campione di oltre 100 aziende, molte di grandi dimensioni (il 20% ha più di 150 dipendenti e il 40% più di 500) - emerge che l’uso dello smart working è ancora diffuso. Lo prevedono infatti 7 aziende su 10; e se per il 20% del campione quasi tutti i dipendenti lavorano da casa, in un altro 18% di aziende intervistate sono in smart working più del 50% degli addetti. Si tratta di dati medi, che si alzano se si guarda al settore del commercio e dei servizi, dove nel 30% delle aziende quasi tutti i dipendenti lavorano da remoto, e si riducono nel mondo dell’industria, dove sono molte le attività da svolgere in presenza.

Questo uso diffuso del lavoro agile porta con sé la domanda di regole e controlli. Quasi tre aziende intervistate su quattro sono intervenute per regolare il lavoro smart: alcune hanno stabilito solo gli orari (il 25%), altre anche i luoghi da cui svolgere le mansioni (quasi il 20%), altre hanno dato ai dipendenti più libertà di organizzarsi (quasi il 25%). Il bisogno di regole è maggiore nelle imprese più piccole: l’80% delle aziende fino a 150 dipendenti ha disciplinato il lavoro da remoto contro il 70% di quelle con più di 500 addetti.

Il bilancio del lavoro da remoto ha anche delle ombre: il 16% dei direttori del personale intervistati ha riscontrato abusi nell’uso dello smart working (ma l’abuso dei permessi malattia è emerso nel 30% delle risposte, quasi il doppio). Oltre la metà degli intervistati si dichiara favorevole a svolgere controlli sull’uso dello smart working. Non solo: tra gli Hr manager è diffuso il timore di attacchi informatici, aumentati nell’ultimo anno e mezzo anche in relazione al lavoro fuori ufficio. Così il 10% degli intervistati (ma la percentuale sale al 13% se si prendono in considerazione le aziende con più di 150 dipendenti) afferma di aver chiesto indagini informatiche per individuare furti di dati o comportamenti digitali fraudolenti nei confronti dei propri dipendenti. «È un campanello d’allarme - osserva la presidente di Gidp Marina Verderajme -: occorre riformare il lavoro da remoto mettendo al centro la sicurezza delle persone e dei dati. Serve formazione per arginare i comportamenti rischiosi; e bisogna dare ai lavoratori strumenti sicuri e reti protette». Più in generale, prosegue, «lo smart working post emergenza ha bisogno di regole, anche per sganciarsi dal lavoro a ore e trasformarsi in lavoro per obiettivi». «I dati ci presentano uno smart working maturo e parte integrante dell’Hr management - conferma Cosimo Cordaro, amministratore delegato di Abbrevia - ma al contempo rischioso e che necessita di controllo».

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