Rapporti di lavoro

Green pass, malattia neutra per l’assente ingiustificato

di Aldo Bottini

A un mese dall'entrata in vigore dell'obbligo del green pass nei luoghi di lavoro, si può tranquillamente affermare che i timori della vigilia si sono dimostrati in gran parte infondati. Le paventate situazioni di caos non si sono verificate, i disagi sono risultati marginali e i problemi organizzativi sono stati tutto sommato gestiti. L'introduzione della piattaforma Inps per la verifica massiva del certificato ha ulteriormente agevolato i controlli nelle aziende di maggiori dimensioni. Con la conversione in legge del Dl 127/2021 (su cui oggi viene votata la fiducia alla Camera, dopo il via libera del Senato) arriverà anche la possibilità di non effettuare i controlli nei confronti dei dipendenti che consegneranno copia del certificato al datore di lavoro (possibilità rispetto a cui il Garante privacy ha già evidenziato criticità).

Al netto di isolati episodi, individuali o collettivi, di protesta, (che sembrano preludere a contenziosi futuri) rimangono, per le funzioni Hr delle aziende, alcune questioni da dirimere.

La prima riguarda lo smart working. È pacifico che chi è privo di green pass non può pretendere di lavorare da remoto, ed è altrettanto assodato che lo smart working, come si ricorda in una Faq del Governo, non può essere utilizzato allo scopo di eludere l'obbligo del certificato. Detto questo, cosa accade nel caso in cui, già prima del 15 ottobre, fosse prevista una prestazione in forma ibrida, ovvero in parte in presenza e in parte da remoto? Ovviamente chi è privo di green pass non può rendere la parte di prestazione prevista in presenza, e per quella parte è certamente da considerarsi assente ingiustificato senza retribuzione. La parte che programmaticamente è previsto che sia resa da remoto teoricamente potrebbe essere effettuata, posto che il possesso del green pass è previsto solo ai fini dell'ingresso nei luoghi di lavoro. Questo avrebbe come conseguenza la retribuzione solo delle giornate lavorate da remoto. In pratica, una prestazione (e una retribuzione) part-time.

Tuttavia il datore potrebbe non avere interesse a ricevere una simile prestazione parziale, considerando che un modello ibrido (coerente peraltro con la definizione e le previsioni normative sul lavoro agile) si regge sulla complementarietà tra lavoro in azienda e lavoro da remoto. Del resto, anche in caso di lavoro totalmente da remoto, è sempre contrattualmente prevista la possibilità di convocare il lavoratore in sede per particolari necessità (riunioni, incontri). Quindi, in base ai principi generali in materia contrattuale (articolo 1464 del Codice civile) l'azienda ben potrebbe rifiutare un adempimento solo parziale delle obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro, non avendovi un apprezzabile interesse, e quindi recedere dall'accordo di smart working, con la conseguenza pratica che il dipendente andrebbe considerato assente ingiustificato per intero, senza retribuzione, sino a quando si ripresenti munito di green pass.

Una seconda questione ricorrente in questi giorni è quella delle conseguenze di un eventuale stato di malattia. Al riguardo va operata una distinzione. Se la malattia è insorta prima del 15 ottobre e prosegue ininterrotta, il lavoratore continuerà a ricevere il relativo trattamento, che sia in possesso di green pass o meno. Al contrario, uno stato di malattia insorto dopo che l'assenza del certificato verde sia stata comunicata all'azienda o verificata al momento dell'accesso, cioè dopo che sia scattata l'assenza ingiustificata, è da considerarsi del tutto irrilevante e non da diritto ad alcuna indennità. In altre parole, l'assenza ingiustificata dovrebbe prevalere sullo stato di malattia successivamente insorto, considerato che la retribuzione della malattia presuppone che il lavoratore sia in condizioni di lavorare, se non fosse appunto per la malattia. Il che non è per chi è privo di green pass.

Da ultimo, vengono segnalati alcuni problemi legati al green pass “da tampone”, che può portare in alcuni casi a una prestazione intermittente. Al riguardo, va in primo luogo ricordato che, come ha recentemente affermato un'ordinanza del Tar Lazio (5705 del 20 ottobre), il tampone non può essere assimilato a un dispositivo di protezione individuale (Dpi), e pertanto il suo costo non può essere posto a carico del datore di lavoro. Analogamente si può ritenere che il datore non possa essere chiamato a farsi carico di eventuali disagi o ritardi nell'effettuazione del tampone.

Quanto alla imprevedibilità o intermittenza nella prestazione che ne può derivare, gli effetti negativi possono essere contenuti avvalendosi della norma introdotta dall'articolo 3 del decreto legge 139/2021, che consente di chiedere anticipatamente al lavoratore di dichiarare il mancato possesso di green pass, in relazione a specifiche esigenze organizzative volte a garantire la programmazione del lavoro. Il dipendente è tenuto a rendere la dichiarazione, con le conseguenze che possono derivare, in relazione al caso concreto, dall'inadempimento a tale obbligo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©