Rapporti di lavoro

Cessione di beni strumentali tassati 600 euro

di Angelo Busani

Imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (di 200 euro ciascuna) per il trasferimento di immobili strumentali nell’ambito di una cessione di azienda o di un ramo d’azienda: lo stabilisce la legge di bilancio 2022 (legge 234/2021, articolo 1, comma 237).

L’innovazione consiste nel fatto che, prima del 1° gennaio 2022, il valore del trasferimento dei beni immobili compresi in un contratto di cessione di azienda (o di ramo) era gravato dalle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro cadauna e dall’imposta di registro in misura proporzionale nella misura del:
O 15% (minimo mille euro) se si trattava di terreni agricoli (a meno che l’acquirente non fosse un imprenditore agricolo professionale, un coltivatore diretto o soggetti – anche societari – equiparati, caso nel quale si applica la specifica agevolazione di cui all’articolo 2, comma 4-bis, del Dl 194/2009);
O 9% (minimo mille euro) in ogni altro caso.

Questo panorama impositivo rimane in vigore, ma ad esso ora si aggiunge dunque il caso del trasferimento, in uno con l’azienda o il ramo d’azienda, di «beni immobili strumentali»: il valore di tali immobili, se isolato dal valore di cessione dell’azienda di cui fanno parte (il quale rimane imponibile, di regola, con l’aliquota del 3%), verrà pertanto tassato complessivamente con 600 euro.

Per beni immobili “strumentali” pacificamente si intendono quelli individuati «di regola, su un criterio oggettivo legato alla classificazione catastale degli stessi, a prescindere, quindi, dal loro effettivo utilizzo» vale a dire quelli classati in Catasto nella categoria A/10 («qualora la destinazione ad ufficio o studio privato risulti» dal relativo titolo edilizio) e nei gruppi catastali B, C, D ed E (circolare 22/E/2013, circolare 18/E/2013, risoluzione 430182/1991, circolare 36/1989, nota irezione generale del Catasto 3/330/1989).

La nuova norma manifesta peraltro una certa frettolosità redazionale quando, nel suo primo periodo, subordina la sua applicazione a due condizioni (la «continuazione dell’attività» dell’azienda oggetto di cessione e il «mantenimento degli assetti occupazionali») e poi quando, invece, nel suo secondo periodo, nel dettare le fattispecie in cui si ha decadenza dall’agevolazione (comminando il recupero dell’imposizione “ordinaria”, ma nessuna sanzione):
O dimentica il «mantenimento degli assetti occupazionali» (quindi si apre il tema se il mancato mantenimento integri una fattispecie di decadenza);
O indica, come ipotesi di decadenza, la «cessazione dell’attività» aziendale entro cinque anni dall’atto agevolato e il «trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili» in questione entro il quinquennio predetto.

Quanto alla condizione del «mantenimento degli assetti occupazionali» non pare che ne esista una definizione normativa. Quindi, c’è ampio spazio per controversie interpretative sul punto tra contribuenti, Agenzia e giudici tributari. Una lettura di buon senso porterebbe a dire che il requisito viene rispettato se non vi siano licenziamenti collettivi, mentre appaiono tollerabili piccole variazioni nel quantitativo di personale presente in azienda. Inoltre, dovrebbero essere ininfluenti le variazioni del personale conseguenti a licenziamenti di natura disciplinare (o casi analoghi).

La norma di cui al comma 237 non richiede particolari dichiarazioni o assunzione di impegni e quindi non richiede che l’acquirente dichiari di voler continuare l’attività aziendale o di voler mantenere l’assetto occupazionale dell’azienda acquistata. Si tratta, dunque, di un’agevolazione che oggettivamente compete per il fatto che l’azienda trasferita comprenda immobili strumentali, salvo essere revocata nel caso in cui l’Agenzia rilevi la verificazione di fattispecie di decadenza (le quali, come già osservato, comportano l’applicazione dell’imposizione ordinaria e non l’applicazione di alcuna penalità).

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