Rapporti di lavoro

Sei lavoratori su dieci ripensano vita e lavoro a causa della pandemia

di Cristina Casadei

Se intervistando 20mila lavoratori in 10 paesi, che rappresentano circa il 65% del Pil globale, tra cui l’Italia, la Francia, la Germania, la Cina e gli Stati Uniti, il 58% ritiene che la pandemia abbia rappresentato un punto di rottura, costringendoli a ripensare l’equilibrio tra lavoro e vita personale, questo non può lasciare le aziende indifferenti. Bain & company, insieme a Dynata, ha realizzato una survey, intitolata The working future, dove ha preso in esame cinque trend che stanno rimodellando il futuro del lavoro. Emerge, innanzitutto, che le motivazioni che spingono le persone a lavorare stanno cambiando. «Sebbene il compenso sia ancora sul podio delle priorità della maggior parte dei lavoratori, in Italia solo uno su cinque lo classifica come il fattore principale per la scelta di un lavoro, con la flessibilità che assume un ruolo sempre più importante: per il 12% è già il primo motivo per scegliere un posto di lavoro», spiega Roberta Berlinghieri, partner Bain & Company.

Alla domanda cos’è un “buon lavoro”? le opinioni dei lavoratori hanno consentito di individuare sei archetipi, ognuno caratterizzato da un diverso mix di priorità. I worker bees che trovano realizzazione al di fuori del loro lavoro, che considerano come un mezzo. I givers che si motivano con lavori che migliorano la vita degli altri, come la medicina o l’insegnamento. Gli artisans che amano essere apprezzati per la loro competenza. Gli explorers che tendono a vivere nel presente e cercano carriere che forniscono un alto grado di varietà. Gli strivers, i motivati dal successo professionale, che apprezzano lo status e il compenso. Infine i pioneers che si identificano profondamente con il loro lavoro e attraverso la loro professione desiderano cambiare il mondo. Che paese è l’Italia? Da noi «l’archetipo più diffuso è quello dei worker bees, gli operativi, che sono predominanti nella fascia 35-54 anni», dice Berlinghieri.

Tra gli altri fattori analizzati nella ricerca c’è l’automazione che sta riumanizzando il lavoro, sostituendo l’uomo nelle attività più di routine, così come il cambiamento tecnologico che sta rendendo più labili i confini dell’azienda. Il boom di smartworking e gig economy ha modificato in modo significativo le modalità in cui i lavoratori interagiscono con le aziende. Questi cambiamenti hanno ridotto i costi aziendali, ma hanno anche conseguenze negative per i lavoratori, in particolare sotto il profilo del livello di soddisfazione professionale e di connessione tra colleghi. «L’Italia è molto frammentata - continua Berlinghieri -. Assistiamo a una grande polarizzazione nelle aspettative, con il 27% di lavoratori che preferirebbe non lavorare mai (o quasi mai) da remoto, il 17% invece opterebbe per 5 giorni a settimana ».

Infine c’è un focus sulle nuove generazioni che secondo la survey nel nostro paese sono sempre più stressate. È un trend presente in tutti i paesi, ma va detto che l’Italia è sul podio, dopo Giappone e Brasile: il 64% dei lavoratori, sotto i 35 anni, si sente sotto stress. Non stupisce quindi che «solo il 60% dei lavoratori italiani intervistati è soddisfatto della propria professione», sottolinea Berlinghieri. Tutti questi trend emersi avranno un forte impatto nelle aziende dove Bain & Company ha individuato alcune aree su cui bisognerà investire. Innanzitutto, anche per via della scarcity di determinati profili, bisognerà passare dall’essere “a caccia di talenti” a “sviluppatori di talenti”, con investimenti forti nella formazione e nella creatività, concentrandosi sui percorsi di carriera. E poi tutte le organizzazioni dovranno spingere i dipendenti a lavorare sulle capacità personali e a costruire una carriera che corrisponda alla loro idea soggettiva di vita di successo.

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