Rapporti di lavoro

Il licenziamento orale è nullo ma va provato dal lavoratore che altrimenti può essere considerato dimissionario

di Alberto De Luca e Raffaele Di Vuolo

Con sentenza 1240/2022 del 25 marzo, il Tribunale di Foggia ha confermato un principio oramai prevalente in materia di ripartizione dell'onere della prova in caso di licenziamento orale, ponendo in capo al lavoratore la prova, non sempre agevole, del licenziamento orale impugnato.

Nel caso specifico, il dipendente sosteneva di essere stato licenziato oralmente il 3 gennaio 2020 affermando che, in tale occasione, gli veniva comunicata la «immediata sospensione del rapporto di lavoro» con invito a rassegnare le dimissioni. Nei giorni successivi, il lavoratore impugnava l'estromissione comminatagli e comunicava, a mezzo Pec, la propria immediata disponibilità a riprendere l'attività lavorativa.

Costituitasi in giudizio, la società eccepiva l'insussistenza di un licenziamento orale, deducendo che fosse stato il lavoratore ad allontanarsi arbitrariamente dal luogo di lavoro e a essere conseguentemente risultato assente ingiustificato. Tale assenza non veniva contestata al lavoratore a fronte della rinuncia della società a esercitare il potere disciplinare.

Il Tribunale di merito, a valle di una approfondita attività istruttoria, ha rigettato la domanda del lavoratore non avendo questi assolto l'onere di provare la sussistenza del licenziamento orale impugnato. Diversamente, secondo il giudice, si può concludere che, anche in mancanza della formalizzazione delle dimissioni, il rapporto sia cessato per volontà del lavoratore che non ha più fatto ritorno sul luogo di lavoro. Al riguardo, richiamando alcune precedenti pronunce di merito, il Tribunale ha ribadito che il lavoratore che impugni il licenziamento, perché intimato senza l'osservanza della forma scritta, ha l'onere di dimostrare in che modo lo scioglimento del vincolo sia riconducibile alla volontà datoriale, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa.

Pertanto, la domanda del lavoratore va respinta qualora il datore di lavoro eccepisca a sua volta che il rapporto si è risolto per le dimissioni del dipendente e alla conclusione dell'istruttoria perduri l'incertezza probatoria (Tribunale di Lucca, sentenza 31/2022 del 31 gennaio, Tribunale Varese, sentenza 101/2019 del 5 novembre; Corte di appello di Catania, sentenza 912/2019 del 27 settembre).

Con tale pronuncia il Tribunale si è allineato all'orientamento meno garantista della Corte di cassazione (si veda l’articolo del 21 febbraio 2019) in forza del quale, nel caso in cui sussista un'incertezza probatoria in merito alla circostanza posta alla base della cessazione del rapporto, deve trovare applicazione il regime dell'onere della prova previsto dall'articolo 2697 del Codice civile «secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». Ai fini dell'assolvimento di tale onere non è sufficiente provare la mera cessazione del rapporto di lavoro così come, invece, affermato da un diverso orientamento della Corte di cassazione (sentenze 10651/2005, 7614/2005; 5918/2005; 22852/2004; 2414/2004).

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