Rapporti di lavoro

Arduo arrivare a fine mese con una borsa di 1.130 euro

di Eugenio Bruno

Allarme inflazione per i «Phd» italiani. I 1.130 euro netti di borsa mensile, che i dottorandi e le dottorande italiane generalmente percepiscono, è insufficiente a condurre una vita indipendente. E anche salire a 1.195 - come accadrà a partire dal 1° luglio in virtù dell’adeguamento degli importi deciso nei mesi scorsi - non muterà di molto il quadro. Visto che continueranno a guadagnare il 20% in meno dei loro colleghi francesi e spagnoli, il 30% in meno dei tedeschi, e circa la metà dei danesi e degli olandesi.

Proprio al rapporto tra costo della vita e borsa di dottorato è dedicato uno dei capitoli della X Indagine nazionale dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi) “Per costruire diritti nuovi - presentazione dei risultati del questionario Adi sulle condizioni di lavoro nel dottorato in Italia”, che verrà presentata giovedì alle 17 al Senato e che fornisce una fotografia aggiornata sulle condizioni professionali ed economiche dei vincitori di un Phd lungo la penisola.

Le elaborazioni dell’Adi partono da 5 profili tipo, con stili di vita diversi ma il medesimo problema: arrivare alla fine del mese. Per ciascuno dei 5 vengono considerate solo le spese quotidiane; l’analisi, infatti, non include vacanze estive o viaggi, biglietti di concerti o eventi, acquisti significativi (automobile), riparazioni o servizi di professionisti (ad esempi interventi di idraulici, meccanici o elettricisti) o visite mediche di alcun tipo. Ebbene, il costo della vita supera i 1.100 euro mensili perfino conducendo una vita al risparmio in molte città italiane: un monolocale di 35 mq in zona periferica supera un terzo dell’importo della borsa nelle città in cui vive il 40% dei dottorandi e delle dottorande, tant’è che anche una spesa eccezionale relativamente rischia di essere insostenibile.

Il 45% delle oltre 5.000 persone che hanno risposto alla X Indagine nazionale Adi, infatti, non sarebbe in grado di sostenere un imprevisto del valore di 400 euro senza chiedere aiuto alla famiglia: un’emergenza medica o la rottura del Pc o di un elettrodomestico diventano automaticamente insopportabili. Una quota che sale al 77% dei dottorandi e delle dottorande se l’extra costo da sostenere diventa di 1.000 euro. Solo il 10% degli intervistati ritiene che le condizioni economiche e lavorative del dottorato consentono una pianificazione serena della propria vita.

Come se non bastasse, il 55% dei titolari di un Phd ammette di non riuscire a risparmiare nemmeno 100 euro al mese. Risultato: nel 14% dei casi (che diventa il 50% per i dottorandi e le dottorande senza borsa) devono chiedere aiuto alla famiglia d’origine per fronteggiare le spese quotidiane. Un destino che sembra più quello di studente fuorisede qualunque che di un giovane “cervello” all’inizio della sua carriera accademica. E che la politica non può più ignorare se vuole arrestare l’emigrazione di capitale umano qualificato proseguita anche negli anni del Covid-19.

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