Rapporti di lavoro

Il contratto di espansione obbliga ad assumere

di Matteo Prioschi

In passato, più di una volta sono state messe a punto norme specifiche per incentivare la staffetta generazionale, senza ottenere risultati significativi. Attualmente non c’è una disposizione specifica, valida in via generale per tutti i settori, che regoli una staffetta generazionale in senso stretto, con un rapporto prefissato tra entrate e uscite di lavoratori.

Lo strumento più vicino allo scopo è il contratto di espansione, da quest’anno accessibile alle aziende che hanno almeno 50 unità lavorative. Il contratto è attivabile nell’ambito di processi di reindustrializzazione e riorganizzazione tramite un accordo, presso il ministero del Lavoro, tra azienda e sindacati comparativamente più rappresentativi in ambito nazionale. Il contratto deve prevedere nuove assunzioni (senza vincoli di numero) e può comportare l’accompagnamento a pensione dei lavoratori che distano non più di cinque anni dal trattamento di vecchiaia o da quello anticipato. Costoro, che aderiscono su base volontaria, lasciano l’azienda e ricevono un contributo mensile fino al pensionamento (e la copertura contributiva se vanno verso la pensione anticipata). Solo per le imprese con oltre 1.000 unità è previsto un potenziamento delle condizioni standard (utilizzo della Naspi) a vantaggio del datore di lavoro se viene concordato di assumere almeno una persona ogni tre che escono.

A disposizione delle aziende ci sono però ulteriori canali per favorire l’uscita dei lavoratori più anziani, a prescindere dall’ingresso di altri. Dal 2012 si può utilizzare l’isopensione, accessibile alle imprese con più di quindici addetti, per accompagnare alla pensione di vecchiaia o a quella anticipata i dipendenti a cui mancano non più di sette anni per raggiungere i requisiti. È stata utilizzata principalmente da grandi aziende, in condizioni di sostenere i rilevanti costi connessi all’operazione, dato che il datore di lavoro, per il periodo di isopensione, deve corrispondere un assegno mensile ai dipendenti in uscita, pari alla pensione maturata all’esodo, nonché versare i contributi all’Inps come se stessero ancora lavorando.

Meccanismo analogo caratterizza l’assegno straordinario erogabile dai fondi di solidarietà bilaterale, però con durata massima di cinque anni. Soluzioni ampiamente usata da comparti, come quello bancario e assicurativo, che hanno risorse adeguate tramite i fondi di settore. L’assegno straordinario, a differenza della staffetta generazionale che verrà a breve introdotta con la conversione in legge del decreto 21/2022, non comporta alcun obbligo di assunzione di nuovo personale.

Ciò non toglie che, nell’ambito di accordi aziendali, il ricorso all’assegno straordinario o all’isopensione venga “compensato” da un piano di nuovi ingressi in azienda. Intese di questo tipo si trovano nelle cronache della contrattazione collettiva.

Poco successo, nel recente passato, hanno riscosso altri strumenti che, potenzialmente, avrebbero potuto favorire il ricambio generazionale all’interno delle imprese. Tra questi, l’Ape aziendale, ossia l’anticipo pensionistico finanziato dal datore di lavoro in favore dei dipendenti più anziani, e il part time incentivato (legge 208/2015) in base al quale il lavoratore vicino alla pensione avrebbe avuto comunque la contribuzione piena e una retribuzione superiore a quella spettante in base alle ore lavorate.

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