Contenzioso

Licenziamenti economici, più chance per la reintegra: così gli effetti sulle cause

di Daniele Colombo

L’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cioè “economico”) per insussistenza del fatto posto a base del recesso comporterà la reintegrazione in servizio del lavoratore anche nell’ipotesi in cui l’accertata insussistenza sia «non manifesta». È questa, in sintesi, la conseguenza che deriva dalla sentenza 125 del 19 maggio 2022 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 300/1970 (lo Statuto dei lavoratori), nella parte in cui la norma prevedeva la reintegrazione solo nell’ipotesi di «manifesta insussistenza» del motivo addotto a fondamento del recesso per motivi economici.

La disposizione in questione, infatti, prima della pronuncia della Corte costituzionale, riconosceva la tutela indennitaria nelle ipotesi di non manifesta insussistenza del fatto, garantendo, invece, la tutela reintegratoria solo nel caso in cui l’insussistenza fosse, appunto, «manifesta». La distinzione, di non facile interpretazione nell’applicazione pratica della norma, è stata censurata in più punti dalla Corte costituzionale. Ora l’aggettivo «manifesta» è dunque eliminato dalla disposizione.

La sentenza pone diversi interrogativi, primo tra tutti quale sia lo spazio per la tutela indennitaria. E ancora: qual è l’impatto della sentenza sui giudizi in corso? La sentenza produrrà effetti solo sui licenziamenti economici successivi al 19 maggio 2022, giorno di pubblicazione della pronuncia, oppure avrà qualche effetto anche sui licenziamenti già perfezionati, ma non ancora impugnati?

La tutela da applicare

La risposta al primo quesito, circa la tipologia della tutela da applicare al lavoratore, viene fornita dalla sentenza stessa. La Corte, infatti, ha precisato che qualora il fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia del tutto insussistente, in quanto, ad esempio, è stata soppressa una posizione, un reparto, un’unità produttiva, in realtà mai cessate del tutto oppure ricostituite a poca distanza dal recesso datoriale, non ci sono dubbi circa l’applicabilità della tutela reintegratoria (articolo 18 comma 4, della legge 300/1970).

In tutte le ipotesi che esulano dal fatto giuridicamente rilevante, invece, troverà applicazione la tutela indennitaria. In queste ipotesi, come è stato evidenziato dalla stessa Corte costituzionale, si colloca, ad esempio, il mancato rispetto dei principi della buona fede e correttezza che presiedono alla scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi appartengono a personale omogeneo e fungibile.

La violazione del repêchage

Quali sono, invece, le conseguenze della violazione dell’obbligo di repêchage, ossia dell’obbligo per il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento per motivi economici, di vagliare tutte le possibilità di ricollocare all’interno dell’azienda il lavoratore in esubero? La Corte costituzionale, sul punto, non si è espressa. La questione, quindi, dovrà essere risolta dalla giurisprudenza di legittimità in fase di applicazione della norma. La Corte di cassazione, in alcuni recenti approdi giurisprudenziali - che risentono della precedente formulazione della norma - ha affermato che, perché possa operare la tutela reale, la violazione dell’obbligo di repêchage deve risultare in modo immediatamente evidente e facilmente dimostrabile, perché la semplice, incompleta o insufficiente dimostrazione a carico del datore, dà unicamente luogo alla tutela indennitaria (Cassazione, 10435 del 2 maggio 2018 e 26460 del 17 ottobre 2019).

Alla luce della sentenza della Consulta, dunque, una particolare attenzione deve essere posta sulla possibilità di ricollocazione del lavoratore, al fine di evitare il rischio di illegittimità del recesso, che possa portare alla reintegra.

L’effetto sulle cause in corso

Per ciò che riguarda gli effetti della sentenza della Corte costituzionale, l’articolo 30 della legge 57/1953 stabilisce che «le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione».

La norma deve essere interpretata nel senso che la decisione dichiarativa di incostituzionalità ha efficacia anche relativamente ai rapporti giuridici sorti anteriormente, purché ancora pendenti e cioè non esauriti (ossia quelle situazioni giuridiche consolidate e intangibili, dove i rapporti tra le parti sono stati definiti anteriormente alla pronuncia di illegittimità costituzionale per effetto di giudicato, di intervenuta prescrizione o decadenza). In questo senso, quindi, la sentenza della Corte spiegherà i suoi effetti sui giudizi pendenti o, comunque non ancora passati in giudicato.

La modifica, inoltre, avrà effetto sui licenziamenti ancora da intimare o, se già intimati, già impugnati o il cui termine di impugnazione non sia ancora decorso.

Le cause non coinvolte

La sentenza, al contrario, non produrrà alcun effetto sui licenziamenti economici rispetto ai quali il lavoratore sia già decaduto dalla relativa impugnazione, trattandosi, in tal caso, di una situazione giuridica già definita.

Allo stesso modo, saranno insensibili alla sentenza della Corte costituzionale, le conciliazioni che hanno a oggetto i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, già perfezionate in base all’articolo 2113 del Codice civile, in quanto anch’esse situazioni giuridiche divenute ormai intangibili per effetto della conciliazione sindacale o amministrativa.

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