Rapporti di lavoro

Recruiting sul web: ecco gli errori da evitare

di Serena Uccello

«Il tuo curriculum sta ricevendo attenzione», citando più o meno a memoria chiunque di noi, con un profilo su LinkedIn, ha almeno una volta ricevuto una notifica di questo tipo. Ora, che il mercato del recruiting passi per una fetta abbondante dal web è confermato dai numeri degli iscritti a questa rete social: in Italia 16 milioni. Tuttavia quanto davvero contiamo sulla presenza del nostro curriculum in questa rete per trovare lavoro? Uno studio realizzato proprio da LinkedIn su un campione di mille professionisti prova ad analizzare questo aspetto con il risultato allo stesso tempo di far emergere un altro aspetto non meno importante: la fiducia degli utenti è un percorso a ostacoli per le aziende che devono imparare a dribblare alcuni errori.

Lo studio rivela infatti che il 79% dei professionisti si «sente positivo o molto positivo riguardo ai datori di lavoro che li contattano su LinkedIn per un’opportunità lavorativa» un buon 62% tuttavia assume un «atteggiamento negativo o molto negativo verso le aziende che fanno “ghosting” su LinkedIn» (il ghosting è l’interruzione di tutte le comunicazioni anche senza un apparente motivo, ignorando completamente qualunque tentativo di contatto), pratica che purtroppo sembra essere sempre più ricorrente dal momento che sette datori di lavoro su dieci hanno ammesso di averlo fatto nei confronti di un candidato nell’ultimo anno. Un deciso passo falso, visto che il 63% si dice pronto ad evitare «in futuro di candidarsi a lavori presso datori di lavoro colpevoli di fare “ghosting”».

Gli errori da evitare

Un altro elemento considerato importante è la chiarezza sull’offerta salariale (richiesta dal 95%) mentre è stigmatizzato negativamente il riferimento a sesso ed età: in questo caso il 69% è pronto a ignorare l’offerta. Parole come «energico», «nativo digitale» o «neolaureato», anche senza intento dannoso, possono scoraggiare i candidati più anziani dal candidarsi. Allo stesso modo, parole legate al genere come «imporsi» o «sfidare» possono essere considerate maschili e allontanare i candidati di sesso femminile.

Niente complicazioni e spazio alla semplificazione: il 64% delle persone in cerca di lavoro trova fastidioso quando viene chiesto di compilare manualmente un modulo di domanda separato dopo aver inviato il curriculum tramite LinkedIn. Attenzione poi a non inviare troppi solleciti: il 39% non è disposto ad accettarne più di due, al 25% ne basta uno, il 17% è pronto ad arrivare a tre, il 16% anche quattro.

Cambiamo un attimo prospettiva e mettiamoci nei panni dell’azienda: se dopo cinque giorni dall’annuncio la casella di posta resta vuota vuol dire che sono stati inanellati una serie di errori. Il primo: il messaggio che avete scritto è troppo generico, testi del tipo «Ho il lavoro più incredibile che so che amerai» non funzionano, non vengono considerati credibili dal 58% degli intervistati. Meno grave il secondo errore: proporre una opportunità che non corrisponde al grado di esperienza, o alle competenze acquisite o al percorso di carriera del candidato che ha visionato l’annuncio. È una circostanza, questa, raccontata dal 57% degli intervistati. Attenzione poi ad essere sufficientemente presenti su LinkedIn, il fatto cioè che sia difficile trovare informazioni sufficienti sull’organizzazione, sui suoi prodotti o sui suoi servizi è visto male da un intervistato su due. Fondamentale il linguaggio: se il reclutatore utilizza troppe parole chiave o gergo aziendale, uno su due è mal disposto nei confronti di quell’annuncio, accade la stessa cosa se ci sono errori grammaticali.

Se questo è ciò che non bisogna fare, che cosa invece è apprezzato? Naturalmente devono esserci elementi fondamentali come l’indicazione chiara della professione richiesta e anche il luogo. Una descrizione dettagliata del lavoro è apprezzata dal 61% degli intervistati, come l’indicazione dei compiti principali piace al 54%, un riferimento ai benefit infine è apprezzato dal 54 per cento.

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