Rapporti di lavoro

Il secondo lavoro dei caregiver impegna 14 ore a settimana

di Cristina Casadei

L’Italia è un paese sempre più vecchio dove, come ci raccontano i dati Istat sulle nascite, sembra esserci un progressivo ribaltamento della genitorialità, con una crescita dei figli di genitori anziani che hanno bisogno di assistenza, più che dei figli di genitori giovani. Come spiega uno studio di Boston consulting group e Jointly, quasi un cittadino su quattro ha più di 65 anni: parliamo di 14 milioni di persone in tutto. La grande maggioranza degli over 75, ossia l’85%, convive con almeno una malattia cronica. In questo quadro è facile immaginare che la domanda di assistenza cresca di anno in anno. Solo il 15% di questa domanda, però, è soddisfatta con le risorse pubbliche. Della restante parte si fanno carico diversi attori, e cioè innanzitutto i privati cittadini ossia i caregivers che in Italia sono oggi più di 7 milioni, la gran parte dei quali sono lavoratori, tant’è che per il 30% di loro si tratta di un secondo lavoro, non retribuito. Poi ci sono le società che offrono servizi, spesso piuttosto costosi per le famiglie e che in piccola parte si possono coprire anche con il welfare aziendale e le coperture assicurative (malattia e long term care). Queste ultime due voci però, rappresentano appena l’1,5% della spesa. Secondo Anna Zattoni, presidente di Jointly, però, «il welfare aziendale può avere un impatto importante sul benessere delle famiglie e sulla sostenibilità del sistema socio-assistenziale nel nostro Paese. Ed è pronto a fare la sua parte, lavorando in sinergia con il settore assicurativo e con la pubblica amministrazione».

Vediamo i numeri. La spesa pubblica per la non autosufficienza in Italia è di 31 miliardi di euro, pari all’1,75% del Pil, con prospettive di crescita. Senza però arrivare a quella di altri grandi paesi europei. È infatti circa 24 miliardi in meno della media di Francia, Germania e Regno Unito. Lo spread nella protezione sociale nel 2065 salirà a 53 miliardi di euro. In questo contesto le famiglie sono il primo soggetto a farsi carico del lavoro di cura e, quando possibile, dei costi. Chi può ricorre ai servizi privati in cui nel 2021 la spesa di welfare delle famiglie ha raggiunto il valore di 136,6 miliardi di euro, pari al 7,8% del Pil. La salute con una spesa pari a 39 miliardi di euro e l’assistenza agli anziani con una spesa di 29 miliardi rappresentano da sole la metà del totale. Gran parte di questa spesa, ossia il 71% è sostenuta direttamente dalle famiglie.

Prendendo un campione di 12mila dipendenti di 6 grandi aziende in diversi settori (telecomunicazione, trasporto, alimentare, energia, credito) Bcg e Jointly hanno cercato di capire i bisogni dei lavoratori caregiver e di individuare soluzioni. Il 17% dei caregiver spende più di 10mila euro l’anno e, in un caso su due, si fa carico della spesa personalmente. Per la metà degli intervistati, il 56%, questa situazione risulta pesante o molto pesante e desidera fortemente poter staccare dal lavoro di cura, anche attraverso un sostegno psicologico come dice il 44% del campione.

Se la gamba pubblica è insufficiente, quella privata è ancora da sviluppare. La conseguenza è che il 38% dei caregiver è costretta a fare da sé o, per chi se lo può permettere e cioè il 33%, a comprare servizi dal privato. Al pubblico si rivolge il 25% dei caregiver, a causa della lentezza dell’erogazione, delle complessità burocratiche e della mancanza di risorse. Quanto agli operatori specializzati il loro costo li rende inaccessibili a 6 caregiver su 10.

La fatica quotidiana dei caregivers rimane però una fatica spesso nascosta. Più di uno su tre, il 38%, teme infatti che parlare del proprio ruolo possa compromettere in qualche modo la carriera e uno su quattro (23%) afferma di non aver ricevuto particolare supporto, dopo aver condiviso la propria situazione. Il welfare aziendale è sfruttato a pieno solo dal 3% degli intervistati e due sono i fattori che emergono come prioritari per i caregiver intervistati: la gestione del tempo e l’aspetto finanziario, che sono considerati “rilevanti” dal 72% del campione o “molto rilevanti” dal 64%. Tra le soluzioni a cui la digitalizzazione potrebbe dare slancio ci sono il senior housing con modelli di servizi di assistenza innovativi che uniscono app, intelligenza artificiale, smart home per indirizzare i bisogni di una popolazione che invecchia e che nell’80% è in una condizione di isolamento. In questo contesto il Pnrr offre una finestra «per agire facendo leva sul digitale all’interno di nuovi modelli di servizio sempre più locali e integrati - aggiunge Alessandra Catozzella, partner di Bcg -. Le opzioni sono molteplici», ma la partnership pubblico e privato può aprire una nuova stagione.

Sotto la lente

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©