Rapporti di lavoro

Dai centri per l’impiego solo il 4% dei posti

di Claudio Tucci

In un mercato del lavoro sempre più esposto a profonde ricomposizioni e transizioni servirebbero vere politiche attive e soprattutto un player pubblico all’altezza. E invece ancora una volta non è così. Il nuovo programma Gol, Garanzia di occupabilità dei lavoratori, è ancora in rampa di lancio; e i Centri pubblici per l’impiego (i Cpi) si confermano del tutto inadeguati a sostenere i processi di allocazione e riallocazione della forza lavoro. Secondo l’ultimo policy brief dell’Inapp, che prende in esame i dati dell’indagine Inapp-Plus, che da oltre 15 anni analizza la dinamica dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, presentato ieri a Bologna, al Festival del Lavoro, emerge che i Cpi riescono a condurre a una occupazione poco più del 4% della loro utenza (il 4,2% per l’esattezza). Fanno meglio dei Cpi persino scuole e università (5%), due soggetti che hanno una mission diversa. Meglio dei Centri per l’impiego anche le più performanti Agenzie per il lavoro private, che intermediano il 6,4 per cento.

Il punto è che la prevalenza dell’accesso al lavoro è appannaggio dei canali informali. Negli ultimi dieci anni quasi un lavoratore su quattro (il 23%) ha trovato occupazione tramite amici, parenti o conoscenti, il 9% attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo. In tutto, tra il 2011 e il 2021, i canali informali di ricerca hanno generato il 56% dell’occupazione: circa 4,8 milioni di posti di lavoro sottratti alla intermediazione “palese”.

I canali formali (concorsi pubblici a parte), quindi i Cpi soprattutto, intercettano solo posizioni lavorative meno retribuite, prevalentemente non standard e caratterizzate da bassi livelli di istruzione. Lo dimostrano gli stessi dati Inapp, dove emerge che i Cpi trattano prevalentemente una utenza debole (il 32% è in possesso della licenza media inferiore). La retribuzione di chi ha trovato lavoro grazie ai Cpi è la cifra della qualità delle occasioni che vengono loro conferite: 23.300 euro lordi l’anno, contro, per avere un riferimento, i 35mila euro di chi ha vinto un concorso pubblico o i 32.600 di chi ha trovato lavoro nell’ambiente professionale. Non è tutto. Anche la quota di laureati che hanno trovato lavoro attraverso i servizi pubblici è tra le più basse (23%).

Di fronte a questi numeri (certo, ci sono eccezioni positive nelle regioni del Nord) ci si sarebbe aspettato uno sprint nell’attuare il maxi piano di rafforzamento dei Cpi da completare entro il 2021. E invece su 11.600 ingressi previsti se ne sono effettuati 3.440; e l’operazione navigator non è riuscita a invertire questo trend negativo.

«I dati Inapp sono la impietosa fotografia di un sistema pubblico di politiche attive che ha completamente fallito nella sua mission - ha commentato il giuslavorista Alessandro Paone, Equity Partner di LabLaw Studio Legale -. In pratica, si certifica che dal sistema pubblico deriva una delle principali cause che alimentano occupazione povera e di basso livello». Una riflessione che deve far riflettere.

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