Rapporti di lavoro

Regole su misura per un’azienda su due ma il 40% delle società è ancora in ritardo

di Serena Uccello

Dopo l’improvvisa crescita determinata dall’emergenza pandemica, lo smart working si avvia ora verso una fase di assestamento. A dirlo è il fatto che un’azienda su due si è dotata di policy specifiche. Il quadro quantitativo e qualitativo emerge dal sondaggio condotto dalla società di consulenza Variazioni, a cui hanno risposto circa 300 responsabili delle risorse umane di organizzazioni private e pubbliche, tra il 15 marzo e il 15 maggio 2022 (si veda Il Sole 24 Ore del 14 marzo 2022).

Sono stata monitorate, dunque, 300 imprese di tutti i settori, localizzate per oltre l’80% nel nord Italia, per il 12% in Italia centrale e il restante nel sud e le isole. Prevalenti le imprese con oltre 250 dipendenti che rappresentano il 46% del campione contro il 33% di quelle che hanno dichiarato un numero di dipendenti compreso tra 51 a 250 dipendenti e il 22% sotto i 50.

Qual è il risultato? Che oltre la metà delle imprese ha già scelto come organizzarsi per il futuro: il 55,5% del campione ha già introdotto il lavoro agile e adottato una policy che definisce le linee guida generali dello smart working in azienda. Quattro imprese su dieci temporeggiano ancora e dichiarano l’intenzione di adottare lo smart working a livello strutturale, ma non lo hanno ancora fatto e potrebbero non fare in tempo entro il 31 agosto. Solo il 6,2% del campione invece afferma di non voler proseguire con il lavoro agile. Interessante un altro elemento: tra chi ha già disciplinato e regolamentato il lavoro agile, oltre la metà non lo aveva mai sperimentato prima della pandemia. Invece tra le imprese che si sono già attrezzate, il 51% delle organizzazioni aveva già introdotto la policy prima dell’emergenza sanitaria del marzo 2020, mentre il restante l’ha fatto chiaramente durante l’emergenza.

Quanto ai motivi che hanno determinato l’introduzione dello smart working, per il 40,5% delle aziende si tratta di rispondere ai bisogni della popolazione aziendale attuale e future e migliorare il work-life balance nell’ottica di trattenere e attrarre talenti. La necessità di innovare modelli organizzativi è alla base della decisione per il 34% delle imprese, consapevoli che ciò comporta anche una ridefinizione degli stili di leadership oltre ad un cambiamento profondo dei modi di lavorare. E in prospettiva il lavoro agile orienta l’organizzazione al futuro e alla transizione digitale: sei organizzazioni su dieci infatti hanno scelto di accompagnare l’adozione dello smart working con una formazione specifica.

Sul luogo è interessante notare che nella stragrande maggioranza dei casi il lavoro agile non è antitetico alla presenza in ufficio: l’87% delle policy prevede che comunque il lavoratore possa recarsi in ufficio anche nelle giornate stabilite per lo smart working. Questo vuol dire che comincia a definirsi l’idea che il lavoro agile non è più antitetico al lavoro in ufficio ma concepito come una possibilità. Rispetto agli orari di lavoro e la reperibilità, per il 38% delle organizzazioni il lavoro agile replica gli orari della giornata di lavoro, per il 23% invece non è previsto un orario fissato con l’obbligo di reperibilità, altre invece optano per soluzioni intermedie stabilendo delle fasce orarie di reperibilità quotidiana sotto le otto ore. In nove casi dieci il lavoro strutturale in smart working non prevede gli straordinari. Nell’84% dei casi è però prevista fornitura di strumenti e tecnologie o indennità per l’acquisto di dispositivi tecnologici o per la creazione di postazioni di lavoro domestiche. Quanto al futuro: l’83% degli intervistati auspica che la contrattazione collettiva limiti al minimo il suo intervento lasciando alle singole organizzazioni autonomia decisionale e flessibilità.

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