Rapporti di lavoro

Il decreto Trasparenza cambia la «clausola di esclusiva»

Il datore di lavoro non potrà impedire all’addetto di svolgere un’altra attività

di Vittorio De Luca e Claudia Cerbone

Il decreto legislativo 104/2022, attuativo della direttiva europea sulla trasparenza 2019/1152, pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale » 176 del 29 luglio e in vigore dal 13 agosto, individua al Capo III le prescrizioni minime che devono avere le condizioni di lavoro. La prima disposizione si riferisce alla durata massima del periodo di prova (articolo 7) che rafforza alcuni principi giurisprudenziali già formatisi sul tema. In particolare, il periodo di prova non può avere una durata superiore a sei mesi a meno che il contratto collettivo applicato al rapporto non preveda una durata inferiore. In caso di contratto a tempo determinato, il periodo di prova deve essere proporzionato alla durata del contratto, e alle mansioni assegnate in ragione della natura dell’impiego. Inoltre, in caso di rinnovo del contratto per svolgere le stesse mansioni, non può essere apposto un nuovo patto di prova.

Infine, nelle ipotesi di eventi sospensivi (quali malattia, infortunio e congedi obbligatori) la durata del periodo di prova è sospesa ed è prolungata in misura corrispondente all’assenza del lavoratore.

Una importante novità è definita dal decreto con riferimento al cumulo di impieghi (articolo 8) e cioè alla meglio nota «clausola di esclusiva» con la quale il datore di lavoro vieta al dipendente di svolgere una diversa attività professionale. Il decreto, infatti, per la prima volta prescrive il divieto per il datore di lavoro (e per il committente) di impedire al lavoratore di svolgere un’altra attività al di fuori dell’orario di lavoro concordato né di riservagli, per tale ragione, un trattamento sfavorevole. Fanno eccezione le ipotesi in cui l’eventuale seconda occupazione rechi pregiudizio alla salute e alla sicurezza del lavoratore (compreso il rispetto della normativa sui riposi), o non garantisca l’integrità del servizio pubblico, o ancora sia in conflitto d’interessi con l’attività principale (pur non violando il dovere di fedeltà).

Un’altra novità riguarda la prevedibilità minima del lavoro (articolo 9). È previsto che il datore di lavoro non possa imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa se l’orario di lavoro e la sua collocazione temporale non sono predeterminati; per l’effetto, è riconosciuto il diritto per il lavoratore di rifiutarsi di svolgere la prestazione, senza subire alcun pregiudizio, anche di natura disciplinare.

Quanto sopra, a meno che non ricorrano entrambe queste condizioni:

il lavoro si svolge entro ore e giorni di riferimento predeterminati;

il lavoratore sia informato dal suo datore di lavoro sull’incarico o sulla prestazione da eseguire con un ragionevole periodo di preavviso.

Inoltre, nel caso in cui il datore abbia stabilito il numero minimo di ore retribuite garantite su base settimanale deve informare il lavoratore che le stesse sono conformi alla misura indicata dalla contrattazione collettiva e che le maggiorazioni retributive spettano in misura percentuale rispetto alla retribuzione oraria base e per le ore lavorate in aggiunta a quelle minime retribuite garantite.

Infine, in caso di revoca da parte del datore di lavoro di un incarico o di una prestazione di lavoro precedentemente programmati, senza un ragionevole periodo di preavviso, il lavoratore ha diritto a percepire la retribuzione inizialmente prevista per la prestazione pattuita dal contratto collettivo oppure, in mancanza, una somma a titolo di compensazione, la cui misura non può essere inferiore al 50% del compenso inizialmente pattuito.

Quanto disposto dall’articolo 9 del decreto trova applicazione non solo nei rapporti di lavoro subordinato ma anche per il committente di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e di una collaborazione etero organizzata, cosa che comporterà non poche perplessità posto che tali prestazioni sono, per loro natura, svincolate da un orario di lavoro vincolante e predeterminato.

L’articolo 10 del decreto prevede che i lavoratori con una anzianità lavorativa di almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente possano richiedere per iscritto, al datore di lavoro, che vengano loro riconosciute condizioni di lavoro più prevedibili, sicure e stabili, se disponibili. In caso di risposta negativa una nuova domanda potrà essere presentata, decorsi almeno sei mesi da quella precedente. Alle richieste del lavoratore devono essere fornite risposte scritte e motivate entro un mese.

L’articolo 11 è sulla formazione obbligatoria. In particolare, viene precisato che nel caso in cui il datore di lavoro sia tenuto, per legge o per contratto collettivo, ad garantire la formazione, questa va considerata come orario di lavoro, va effettuata gratuitamente a tutti i lavoratori e deve svolgersi, ove possibile, durante l’orario lavorativo. Ciò non vale per la formazione professionale o la formazione necessaria al lavoratore per avere una qualifica professionale, a meno che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o contrattato collettivo.

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