Rapporti di lavoro

Smart working e nuovi processi: gli Hr vogliono consulenti esperti

di Valentina Maglione

Ci sono la gestione dello smart working e la riorganizzazione delle procedure, per renderle più efficienti, e delle relazioni tra i nuovi compiti che i cambiamenti innescati dalla pandemia hanno posto ai direttori e agli uffici del personale delle aziende. Per farvi fronte, gli Hr manager cercano anche l’assistenza di professionisti esterni; a patto, però, che abbiano maturato esperienze coerenti e a cui chiedono una maggiore comunicazione e interazione e una migliore conoscenza dell’azienda, oltre all’attenzione ai costi, con preventivi più accurati e l’abbandono delle tariffe orarie. Sono queste le priorità dei direttori delle risorse umane nei rapporti con gli studi legali, fotografate dall’indagine realizzata per Il Sole 24 Ore da Gidp, l’associazione che rappresenta i direttori del personale, in collaborazione con Mopi, che riunisce gli addetti al marketing e alla comunicazione degli studi, e il professor Simone Bandini Buti.

Gli effetti della pandemia

La ricerca raduna le risposte fornite da 123 responsabili Hr di aziende di varie dimensioni, ma in prevalenza medio-grandi (per il 66% con più di 200 dipendenti). Realtà su cui la pandemia ha impattato anche in termini di riorganizzazione dei processi di lavoro. Tanto che i direttori delle risorse umane hanno lavorato nell’ultimo anno per aumentare l’efficienza interna delle procedure (il 58% dei rispondenti), facendo maggior uso di document automation o di intelligenza artificiale (il 41%). Entrando poi nel merito dei progetti che hanno più impegnato i manager negli ultimi 12 mesi, la parte del leone la fa la gestione dello smart working: per impostare una policy (per il 62% degli intervistati), ma anche rivedere gli spazi delle sedi di lavoro (per il 40%) e impostare una nuova cultura e un nuovo modo di lavorare (per il 37%).

Non solo. Molti sono stati i progetti nel campo del well-being (per il 44% dei rispondenti), della retention (per il 37%) e per impostare una politica della diversità a 360 gradi (per il 31%).

I rapporti con gli studi

«La pandemia è stata uno spartiacque – osserva la presidente di Gidp, Marina Verderajme – che ha generato nelle aziende una riflessione su un nuovo modo di lavorare e sull’organizzazione. Si tratta di un cambiamento che gli Hr manager hanno dovuto gestire. Dopo una fase di riflessione “interna”, ora stanno cercando all’esterno i consulenti giusti che possano affiancarli in questo percorso».

Nello scegliere i consulenti, i direttori del personale premiano la precedente esperienza nella materia (per il 67% degli intervistati) o con aziende dello stesso settore (per il 38%), per favorire lo scambio di buone prassi. Conta il passaparola (per il 32%), quasi alla pari con il curriculum (per il 29%) e l’utilizzo della tecnologia (per il 29%). In cima alle richieste che gli Hr fanno agli studi legali che seguono le loro aziende ci sono più comunicazione (23% delle risposte), una maggiore conoscenza dell’industry (20%), più tecnologia e investimenti (20%). E poi si chiede una diversa e più trasparente politica dei compensi, con una migliore previsione dei costi a inizio mandato (22%), l’abbandono delle tariffe orarie (21%) e più sconti (15%).

Vero è che, a oggi, le attività per cui si cerca l’assistenza di studi legali sono soprattutto quelle “tradizionali” di gestione di procedimenti disciplinari (45% delle risposte), accordi transattivi con i dipendenti (35%), contrattualistica (20%) e ristrutturazioni (19%). Ma anche i profili privacy dei rapporti di lavoro (20%) e la revisione o creazione di policy interne e regolamenti aziendali (19%).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©